04. Introduzione alle scienze coraniche

 

 

INTRODUZIONE

 

Il sacro Corano è un Libro unico tra le Scritture rivelate da Dio, gloria a Lui l’Altissimo, poiché sin dal momento della sua discesa, in quanto guida per l’umanità, fino ai giorni nostri, è stato preservato nella sua autentica forma originale. Ogni studio umano intrapreso per giungere alla comprensione di questo Libro è soltanto un tentativo da parte del ricercatore di comprendere il suo Creatore.

Definire le scienze coraniche

Le scienze coraniche (‘ulum al-Qur’an) si riferiscono ad una scienza particolare inerente ai “dettagli esterni” dei versetti del Corano prima ancora di intraprendere ricerche sui significati dei versetti stessi.

Lo studio delle scienze coraniche

 

Lo studio delle scienze coraniche include una vasta gamma di materie le quali possono essere riassunte come segue:

Materie inerenti ai dettagli generali del sacro Corano:

– I nomi del sacro Corano.
– L’arrangiamento dei capitoli e dei versetti nel Corano e il loro numero.
– Le lettere isolate (huruf al-muqatta’at) all’inizio di alcuni capitoli.

Materie inerenti alla storia del sacro Corano:

– La scienza della fonetica.
– Le modalità di recitazione.
– Ragioni delle variazioni delle modalità di recitazione.

Materie inerenti alla raccolta del Corano:

– La differenza tra i versetti meccani e i versetti medinesi.
– Le cause della Rivelazione (asbab al-nuzul).
– I versetti abroganti e i versetti abrogati (al-nasikh wa al-mansukh).
– Le classificazioni dei versetti (muhkam mutashabih, ‘amm khass, mutlaq muqayyad, eccetera).

Materie inerenti al miracolo coranico:

– Protezione del Corano da alterazione (tahrif).
– Inimitabilità del Corano.
– Eloquenza del linguaggio (balaghah).
– Maestosità dei concetti coranici e il loro valore.
– Congruenza del Corano.
– Storie coraniche.
– Predicazioni future.

Storia dello studio delle scienze coraniche

Come tutte le altre scienze islamiche, anche lo studio del Corano inizia attraverso il nobile Profeta Muhammad. Egli, infatti, era solito chiedere ai suoi Compagni riguardo a ciò che non comprendevano del sacro Corano e rispondeva chiarendo i loro dubbi.  Dopo la dipartita del nobile Profeta la fonte primaria circa il commento e la conoscenza del Corano fu ‘Ali Ibn Abi Talib, pace su di lui.1

I primi sapienti non scrissero riguardo alle scienze coraniche in generale, ma usavano piuttosto trattare separatamente ogni materia riguardante il Libro di Dio. Tale criterio includeva il commento coranico (tafsir) come una di queste materie.

Durante i primi anni della storia dell’Islam la trasmissione orale della conoscenza era più importante della trasmissione scritta, la quale fu proibita fino al periodo del califfo ‘Umar Ibn Abdul-‘Aziz.

Il primo secolo

La prima persona che scrisse un libro sulle scienze coraniche fu Yahya Ibn Ya’mar (m. 89 H). Questi scrisse un’opera sull’arte di recitare il Corano, la quale conteneva le recitazioni differenti di quell’epoca.

Il secondo secolo

Hasan al-Basri (m. 110 H) scrisse un’opera sul numero totale dei versetti del Corano. ‘Ata Ibn Muslim al-Khurasani (m. 135 H) scrisse il primo libro sui versetti abroganti e abrogati. Aban Ibn Taghlab (m. 141 H) scrisse sulla recitazione e il significato delle parole del sacro Corano.

Il terzo secolo

Yahya Ibn Ziyad, noto come al-Farra’ (m. 207 H) scrisse un libro sui significati linguistici del Corano. Muhammad Ibn Junayd (m. 281 H) scrisse un libro sulle storie del sacro Corano. Muhammad Ibn Ma’sud al-Ayyashi (m. 224 H) scrisse invece un famoso commento.

Il quarto secolo

Muhamamd Ibn Yazid al-Wasiti (m. 309 H) scrisse un libro sulla natura miracolosa del Corano. Ibn Jarir al-Tabari (m. 310 H) scrisse il suo famoso commento. Anche Sayyid al-Radi (m. 460 H) scrisse un libro sulla natura miracolosa del Santo Corano. Nel suo “Fihrist”, Ibn Nadhim riporta che vi fossero più di cento libri disponibili sui vari aspetti delle scienze coraniche alla fine del quarto secolo.

Dopo il quinto secolo

Dal quinto secolo in poi vi fu una vasta proliferazione dei lavori sul Corano. Le due opere più importanti di questo periodo sono:

1. al-Burhan fi ‘Ulum al-Qur’an scritto nell’ottavo secolo da Badr al-Din Muhammad Ibn ‘Abdullah Ibn Bahadur al-Zarkashi (m. 794 H). Egli è tra i sapienti più prominenti dell’ottavo secolo. Nacque in Egitto nell’anno 745 H, insegnava giurisprudenza islamica ed emetteva responsi giuridici in accordo alla scuola Shafi’ita. Il suo libro discute quarantasette differenti materie delle scienze coraniche.

2. al-Itqan fi ‘Ulum al-Qur’an scritto nel nono secolo da Jalal al-Din ‘Abd al-Rahman al-Suyuti (m. 911 H). Nacque in Egitto nell’anno 849 H. Egli era versato in scienza delle Tradizioni, commento coranico e altre importanti discipline. Il suo lavoro è tra i più completi ed esaurienti a disposizione dei sapienti musulmani fino ai giorni nostri.

Altre opere di rilievo più recenti sono:

– “al-Bayan fi Tafsir al-Qur’an” dell’Ayaullah Abu al-Qasim al-Khu’i.
– “Al-Tahmid fi ‘Ulum al-Qur’an” dell’Ayatullah Muhammad Hadi Ma’rifat.

 

NOZIONI GENERALI

Dato che le scienze coraniche (ulum al-Qur’an) si preoccupano di raccogliere tutte le informazioni utili inerenti al Corano in ogni loro dettaglio utile al ricercatore, si potrebbe assumere anche che l’esegesi del Corano (tafsir al-Qur’an) o l’arte della sua recitazione (tajwid) possono essere considerate anch’esse come “scienze coraniche”. Tale era l’opinione in voga tra gli studiosi del Corano delle prime generazioni ove non si è assistito ad una netta separazione tra le varie specializzazioni in materia coranica. Con il passare del tempo l’arte della recitazione del Corano è diventata prerogativa di un gruppo particolare di esperti mentre lo studio delle scienze coraniche si è separato da quello dell’esegesi: il primo concentrandosi  più direttamente sulla conoscenza concernente il Corano e il secondo sulla conoscenza derivata da esso. Non è difficile quindi constatare di come spesso le scienze coraniche vengano studiate separatamente dall’esegesi. In questa sede ci occuperemo delle scienze coraniche come introduzione necessaria al Corano stesso, alla sua esegesi e alla conoscenza che da essi ne deriva.

Etimologia del termine “Corano”

Il termine “Corano” deriva dal suo corrispettivo arabo “Qur’an”, a sua volta derivato dalla radice araba “qaf-ra-hamza” che significa “leggere”, “recitare” o “salmodiare”. Il celebre storico al-Tabari (d. 310 H.) sosteneva questa opinione.  

Il teologo Abu al-Hasan al-Ash’ari (d. 324 H.) riteneva invece che il termine derivasse dalla radice “qaf-ra-nun” che significa “unire, congiungere”, in quanto il Corano sarebbe composto da capitoli o “sure” uniti l’uno con l’altro.

L’Imam Shaf’i, fondatore di una delle quattro più importanti scuole giuridiche sunnite, d’altro canto ha sostenuto che “Qur’an”, come “Tawrat” (Torah) e “Injil” (Vangelo),2 sia un nome proprio specifico senza alcuna derivazione.

Infine è utile citare l’opinione del grammatico al-Farra’, il quale sostiene che il termine derivi da “qara’in” avente il significato di “assomigliare” in quanto i versetti del Corano si assomiglierebbero gli uni con gli altri in eloquenza ed eleganza stilistica.

Nomi del Corano

Il termine “Corano” è il riferimento più comune che viene utilizzato in riferimento a questo Libro. Esso viene citato 58 volte nel testo coranico ed è ripetuto ancor maggiormente nel corpus degli hadith.

“Furqan” invece, che significa “discrimine”, viene ripetuto 7 volte: due volte in riferimento alla Torah e le altre al Corano. Il termine deriva dalla radice “fa-ra-qaf” che significa “distinguere, separare”. In tal modo il Corano si presenta come criterio di distinzione tra la verità e la falsità.

Il nome usato più comunemente è comunque “Kitab”, ossia “Libro”, utilizzato circa 250 volte.

“Dhikr”, o “ricordo”, compare invece 55 volte. Con esso si vuol far riferimento probabilmente ad una sorta di richiamo naturale insito nell’uomo nei confronti del messaggio religioso e spirituale racchiuso nel Corano stesso. Shaykh al-Tabrisi, l’autore dell’esegesi “Majma’ al-Bayan”, fa riferimento al fatto che il Corano vuole ricordare all’uomo le sue responsabilità e i suoi doveri.

Infine è opportuno far menzione del nome “tanzil”, letteralmente “discesa”, che alcuni studiosi contemporanei3 hanno considerato come un vero e proprio nome del Corano invece che una semplice aggettivazione. Questo nome, con i suoi vari derivati morfologici, appare in 146 passi coranici.

Suddivisione del testo coranico

Il Corano è suddiviso in 114 capitoli, chiamati anche “sure”, che sono di varia lunghezza. Una sura è composta da “versetti” o “passi”. “Versetto” o “passo” sono le traduzioni che spesso vengono fornite in riferimento al termine “ayah”, letteralmente “segno” e dunque anche “miracolo”. Una “ayah”, come i capitoli, può essere di varia lunghezza: la più lunga è la 2:282, che presenta alcune questioni legali inerenti ai debiti e consiste di 130 parole, mentre la più corta è la 55:64 e consiste di una sola parola.

Esistono divergenze di opinione riguardo alla lunghezza dei differenti versetti. A volte la suddetta divergenza è stata causata dalla presenza di narrazioni contraddittorie ma che in ogni caso non influiscono sulla lunghezza dell’intero testo. Ci sono narrazioni da cui si evince che il Profeta si fermasse sempre in punti particolari durante la sua recitazione mentre in altre narrazioni si apprende che in altri punti continuasse la salmodia senza pausa alcuna. Altre narrazioni ancora comunque potrebbero sembrare apparentemente in conflitto tra loro in quegli stessi punti ove il Profeta a volte continuava la recitazione e a volte si fermava: in tal caso alcuni studiosi hanno considerato i momenti di pausa adottati dal Profeta atti allo scopo di riprendere fiato mentre altri hanno ritenuto invece che si sia trattato della fine di un versetto e l’inizio di un altro. In ogni caso il numero dei versetti nelle copie in uso oggigiorno è di 6.236, lo stesso numero riportato da Ali Ibn Abi Talib che cita il Profeta in una narrazione a lui attribuita.4    

Per quanto concerne l’ordine dei versetti si possono citare due opinioni prevalenti: una sostenente che esso sia stato voluto e ordinato dal Profeta stesso e l’altra invece sostenente che l’ordine dei versetti sia stato il risultato dello sforzo dei compagni del Profeta e delle prime generazioni di musulmani onde preservare e raccogliere il testo coranico. La prima tesi viene sostenuta dai due seguenti fattori:

– Ci sono molte narrazioni trasmesse su autorità del Profeta sui benefici della recitazioni di particolari versetti o capitoli. Per esempio viene riportata la seguente: “A chi recita l’ultimo versetto della sura al-Hashr e muore lo stesso giorno, gli verranno perdonati tutti i peccati”.5

– Ci sono narrazioni profetiche che esplicitamente citano dove un versetto debba essere inserito nel testo coranico come nel caso del seguente: “Invero Iddio ordina giustizia e benevolenza, e di fare la carità ai parenti stretti, e proibisce l’indecenza, la cattiveria e la ribellione. Vi esorta al bene affinché ve ne rammentiate” (16:90).6

Per quanto concerne il tema inerente alla raccolta del testo coranico da parte delle prime generazioni di musulmani, lo tratteremo in un articolo separato.

Venendo alla questione dei capitoli, sono state presentate varie opinioni riguardo all’origine del termine “sura”. Secondo alcuni studiosi esso deriverebbe da “sur”, un muro difensivo eretto in tempi antichi ai bordi delle città. L’analogia qui indicherebbe la protezione dei versetti da parte delle sure così come le mura delle città proteggevano le case e i suoi abitanti.

Secondo un’altra opinione “sura” deriverebbe da “su’r” che indica la rimanenza o la parte di qualcosa. Abu al-Futuh al-Razi riteneva che il vero significato riflettesse i concetti di importanza e nobiltà; a tal riguardo cita vari esempi dalla poetica classica.7

Alcuni esegeti hanno sostenuto che una sura sia un insieme di versetti contenuti tra due basmale.8 Questa definizione presenta alcune problematiche in quanto implicherebbe che la sura al-Anfal e la sura al-Tawba siano una medesima sura, non iniziando quest’ultima con la basmala. Per questo motivo alcuni hanno ritenuto che le due sure siano di fatto un unico capitolo. Comunque l’opinione prevalente ritiene che le basmale siano parte integrante dei manoscritti originali del Corano, anche se non necessariamente del Corano stesso.9

Nel Corano vengono menzionate 114 basmale, una all’inizio di ogni capitolo all’infuori della sura al-Tawba, ed una nella sura al-Naml.

Esistono poi ulteriori suddivisioni convenzionali atte ad agevolare la lettura, la recitazione e la memorizzazione del Corano: le suddivisioni in juz’manzil e ruku’.

Letteralmente juz’ significa “parte”. Riguardo al Corano, un juz’ rappresenta una trentesima parte specifica di esso. Ci sono dunque trenta juz’, o trentesimi, circa di egual misura per facilitarne la recitazione. Un juz’ a sua volta è suddiviso in due hizb, e un hizb in quattro parti ancor più brevi.

Il Corano può inoltre essere suddiviso in sette sezioni di circa egual misura. In questo caso, un settimo viene definito “manzil”. Mentre un juz’ facilita la recitazione del Corano nel corso di un mese, la suddivisione del Corano in settimi ne facilita la recitazione nel corso di una settimana (in sette giorni).

La suddivisione in settimi risale ad Hamza Ibn Habib al-Zayyat (d. 156 H.) ed è la seguente:

– Primo manzil: dalla sura al-Fatiha alla sura al-Nisa’.

– Secondo manzil: dalla sura al-Ma’ida alla sura al-Tawba.

– Terzo manzil: dalla sura Yunus alla sura al-Nahl.

– Quarto manzil: dalla sura al-Isra’ alla sura al-Furqan.

– Quinto manzil: dalla sura Shu’ara alla sura Ya Sin.

– Sesto manzil: dalla sura al-Saffat alla sura al-Hujurat.

– Settimo manzil: dalla sura al-Qaf alla sura al-Nas.

ruku’ sono brevi paragrafi di varia dimensione seppur non eccessivamente lunghi. L’intero Corano contiene 558 ruku’. Un ruku’ viene di solito recitato durante la Preghiera rituale del fedele dopo la sura al-Fatiha (anche se il diritto jafarita prevede la recitazione di un’intera sura nelle preghiere mandatorie).

Le lettere disgiunte

All’inizio di alcune sure del Corano compaiono alcune lettere misteriose con apparentemente nessun significato specifico. Esse vengono definite “lettere disgiunte” (al-huruf al-muqatta’at). Più precisamente le lettere disgiunte giungono all’inizio di ventinove sure nel modo seguente:

– Alif Lam Mim (al-Baqara, Ali ‘Imran, al-‘Ankabut, al-Rum, Luqman, al-Sajda).

– Ali Lam Mim Sad (al-A’raf).

– Alif Lam Ra (Yunus, Hud, Yusuf, Ibrahim, Hijr).

– Alif Lam Mim Ra (al-Ra’d).

– Kaf Ha Ya ‘Ayn Sad (Maryam).

– Ta Ha (Ta Ha).

– Ta Sin Mim (al-Shu’ara’, al-Qasas).

– Ta Sin (al-Naml).

– Ya Sin (Ya Sin).

– Sad (Sad).

– Ha Mim (Ghafir, Fussilat, Zukhruf, al-Dukhan, al-Jathiya, al-Ahqaf).

– Ha Mim … ‘Ayn Sin Qaf (al-Shura).

– Qaf (Qaf).

– Nun (al-Qalam).

In totale, quattordici delle ventotto (o ventinove) lettere dell’alfabeto arabo vengono menzionate tra le lettere disgiunte.

Secondo l’opinione di alcuni esegeti come Zamakhshari, Tabrisi e Tabatabai, queste lettere rappresentano una sfida da parte di Dio lanciata contro gli idolatri affinché si rendessero conto di non poter produrre qualcosa di simile. Essendo il Corano composto da quelle stesse lettere familiari agli arabi, la sfida sarebbe stata quella di produrre qualcosa di così profondo, eloquente e sublime con le medesime lettere.

Secondo altri studiosi si sarebbe invece trattato di una sorta di richiamo per catturare l’attenzione di idolatri e rinnegatori: “Coloro che hanno rinnegato dicono:- Non ascoltate questo Corano e sopravvenite che forse avrete il sopravvento-” (41:26). Quando il Profeta recitava il Corano, i suoi osteggiatori iniziavano spesso a rumorreggiare, ridere, fischiare e battere le mani con l’intento oscurare la sua voce e recitazione. Così la pronuncia di queste lettere misteriose avrebbe suscitato curiosità nelle genti e catturato la loro attenzione.

Esistono molte opinioni concernenti il significato delle lettere disgiunte e nel corso dei secoli non sono mancate le speculazioni. Ciò ha portato alcuni a concludere che il loro significato sia noto soltanto a Dio, o forse anche al Suo Profeta e qualche suo intimo discepolo, e che l’uomo comune non avendone i mezzi non sia in grado di giungervi.

Prostrazioni mandatorie e supererogatorie

Nel Corano ci sono vari versetti riguardanti la prostrazione. Dopo la recitazione di quindici versetti particolari, viene richiesta una prostrazione, mandatoria o supererogatoria, da parte del fedele. Questi versetti sono i seguenti:

– Sura al-A’raf:206.

– Sura al-Ra’d:15.

– Sura al-Nahl:50.

– Sura al-Isra’:109.

– Sura Maryam:58.

– Sura al-Hajj:18. 

– Sura al-Hajj:77.

– Sura al-Furqan:60.

– Sura al-Naml:26.

– Sura al-Sajda:15.

– Sura Sad:24.

– Sura Fussilat:38.

– Sura al-Najm:62.

– Sura al-Inshiqaq:21.

– Sura al-‘Alaq:19.

Il diritto hanafita richiede una prostrazione mandatoria dopo la recitazione di ognuno di questi versetti all’infuori di quello presente in al-Hajj:77. Secondo il diritto shafi’ita tutte queste prostrazioni sono sunna, e quindi non mandatorie, nonostante che la prostrazione relativa al versetto Sad:24 sia una prostrazione di ringraziamento (sajda al-shukr) e non una prostrazione dovuta alla recitazione (sajda al-tilawa). Anche secondo il diritto hanbalita tutte le prostrazioni sono sunna e non mandatorie. Il diritto malikita invece prevede undici prostrazione considerate come sunna, ad esclusione dei versetti al-Hajj:77, al-Najm:62, al-Inshiqaq:21 e al-‘Alaq:19. Infine il diritto jafarita considera mandatorie soltanto le prostrazioni dopo la recitazione dei versetti al-Sajda:15, Fussilat:38, al-Najm:62 e al-‘Alaq:19.

 

LA RIVELAZIONE CORANICA

“Rivelazione” è in genere la traduzione fornita per il termine arabo “wahy”, proveniente dalla radice “waw-ha-ya”, in riferimento alla comunicazione di Dio con i profeti. Il termine arabo viene utilizzato anche in riferimento ad altri fenomeni rispetto ai quali si sono usati altri concetti più generali come “messaggio”, “guida” e “ispirazione”. Raghib Isfahani scrive: “La radice del termine wahy porta con sé un significato inerente al concetto di velocità. Wahy quindi si riferisce ad un tipo di comunicazione rapida. Può trattarsi di un segreto o di un qualcosa di natura allegorica ed il messaggio può essere trasmesso verbalmente, in forma scritta o attraverso gesta”.10 Il grammatico Ibn al-Faris invece scrive: “Un messaggio tramesso a qualcuno, apertamente o segretamente, e compreso chiaramente dal destinatario può essere definito wahy”.11

Il fattore della “velocità” è inerente anche a istinti e spinte naturali nei confronti dei quali l’aspetto senziente e volitivo degli esseri rimane limitato o, in alcuni casi, addirittura soppresso. Tale “guida intuitiva” (al-hidaya al-takwiniyya) riguarda le inclinazioni, potenzialità e il raggio di azione sia di oggetti che di esseri animati.

“Il nostro Signore è Colui che ha dato creazione ad ogni cosa e poi l’ha guidata” (20:50)

Secondo diversi versetti del Corano questo tipo di comunicazione/rivelazione viene conferito anche ad oggetti inanimati e animali.

“In quel giorno [la terra] racconterà le sue storie giacché il Signore gliele avrà ispirate” (99:4-5)

“E il tuo Signore ispirò le api di dimorare nelle montagne, negli alberi e in quello che [gli uomini] hanno costruito” (16:68)

Per quanto concerne l’essere umano, viene fatta menzione della storia della madre di Mosè: “E ispirammo la madre di Mosè:- Allattalo e quando temi per lui gettalo nel fiume, e non temere e non rattristarti. Invero te lo restituiremo e lo nomineremo tra gli inviati-” (28:7).

Nel Corano si parla inoltre di alcune creature misteriose denominate “geni” (jinn), tra cui compaiono i demoni, che comunicano tra di essi e con gli uomini ispirandosi vicendevolmente: “E così nominammo un nemico per ogni profeta, demoni tra gli uomini e i geni che si ispirano a vicenda” (6:112) e “E invero i demoni ispirano i loro intimi a polemizzare con voi” (6:121).

Gli angeli pure non sono esenti dal ricevere ispirazione divina: “E quando il tuo Signore ispirò gli angeli:- Io sono con voi, rafforzate coloro che credono-” (8:12).

Il Corano però viene considerato “wahy” nel senso di “rivelazione” o “comunicazione profetica”; in altre parole, di messaggio divino da parte di Dio al Suo profeta per l’umanità.

Nel passo 42:51 si fa menzione di tre modalità di comunicazione: rivelazione diretta, rivelazione diretta da dietro un velo, e rivelazione indiretta attraverso un messaggero.

In diverse narrazioni traspare che la rivelazione diretta sia stata una esperienza difficile per il Profeta. Ciò viene riassunto nell’espressione coranica: “E ti abbiamo mandato una parola pesante” (73:5). Per esempio si riporta che il Profeta mutasse il suo stato, cambiasse colore e chinasse la testa.12 Si narra che addirittura il Profeta a volte svenisse,13 sudasse e gli si abbassasse la temperatura del corpo.14

Esempi di rivelazione diretta sono le comunicazioni profetiche avvenute nei sogni come l’esempio della storia del sacrificio di Ismaele (vedesi passo 37:102) o il sogno del Profeta quando vide i musulmani compiere i riti della umra a Mecca (vedesi passo 48:27).

La comunicazione diretta da dietro un velo era solita giungere per mezzo di fenomeni intermedi come potevano essere suoni, ronzii e richiami di vario tipo nei confronti del Profeta. Ciò si ebbe quando il Profeta giunse al punto più remoto della sua ascensione ai cieli (mi’raj) innanzi ad un velo di luce da dove Dio gli parlò: “Poi si avvicinò,e si abbassò. Si trovò alla distanza di due archi o ancor meno. Così rivelò al Suo servo quello che rivelò” (53:8-10). In maniera analoga viene detto che Dio parlò a Mosè attraverso un roseto ardente (vedesi: 28:30).

Infine la rivelazione indiretta attraverso un messaggero implica una comunicazione tramite un intermediario, in questo caso l’arcangelo Gabriele, che la trasmette al cuore (vedesi: 26:192-194 e 2:97).

In tale contesto il Corano pare presentare il cuore come una fonte di percezione indipendente, isolata dai cinque sensi. Se così non fosse, le genti e i compagni intorno al Profeta avrebbero anch’essi partecipato al fenomeno della rivelazione.

Modalità di rivelazione

Si riporta che all’età di quaranta anni, tredici anni prima della migrazione (hijra) il Profeta Muhammad ricevette la prima rivelazione (96:1-5) mentre si trovava in adorazione nella caverna del monte Hira. Possibili date menzionate sono il 27 Rajab,15 l’8 Rabi al-Awwal,16 e il 17 Ramadan.17 Da quel momento si crede che la comunicazione di Dio con il Profeta durò per un lasso di 23 anni fino alla sua dipartita.  

Dal Corano si evince però che il Corano venne rivelato in un mese e una notte speciale: la notte di Qadr durante il mese di Ramadan (vedesi: 2-185, 44:3-4 e 97:1). Da qui si possono citare quattro opinioni prevalenti:

– La discesa della prima rivelazione avvenne nella notte di Qadr.

– Ogni anno durante la notte di Qadr veniva recitata una parte del Corano.

– La maggior parte dei passi coranici venne rivelata nel mese di Ramadan.

– Ci sono due tipi di rivelazione: una graduale avvenuta nel corso di ventitré anni e una avvenuta in una sola notte.

Prima opinione: nei passi coranici per “Corano” non si intende l’intero Libro e ciò era chiaro anche ai primi musulmani intorno al Profeta. Inoltre non sarebbe stato possibile aver ricevuto il Corano in una sola notte a meno che non si ricorra ad interpretazioni esoteriche.

Diversi passi parlano di eventi futuri facendo uso di verbi al passato: se fossero stati rivelati nella notte di Qadr dovrebbero essere nella forma futura. Altri passi sono invece abroganti e abrogati, generali e specifici, assoluti e condizionati. Ciò richiede il passaggio di un lasso di tempo almeno minimo.

Poi è risaputo che alcuni versetti furono rivelati a Mecca e altri a Medina e non in una sola notte. Il passo 25:32 confermerebbe che il Corano non venne rivelato in un’unica volta.

Seconda opinione: si dice che durante la notte di Qadr sarebbe stata rivelata al Profeta una parte del Corano inerente all’anno corrente. Secondo questa opinione i passi 2:185 e 97:1 non denotano un mese e una notta specifica ma ogni mese di Ramadan ed ogni notte di Qadr.

Terza opinione: che il Corano fosse stato rivelato prevalentemente nel mese di Ramadan viene riportato anche da Sayyid Qutb nelle sue osservazioni sul Corano.18  

Quarta opinione: dato che il Corano possiede una sembianza fisica ed una extra-fisica, esso è stato rivelato nella sua forma originale, che è una realtà univoca, al cuore del Profeta in una sola notte durante la notte di Qadr, dopodiché è disceso gradualmente nel corso di 23 anni.

Al-Kulayni riporta su autorità di Ja’far al-Sadiq: “Il Corano è stato rivelato in una sola volta alla Dimora del Comando (bayt al-ma’mur), dopodiché è stato rivelato in [circa] venti anni”.19  

Shaykh al-Saduq commenta dicendo: “Quello che si intende per rivelazione del Corano in una sola volta durante la notte di Qadr è che il Profeta venne informato dei contenuti universali del Corano. Il Corano non gli fu rivelato in forma di lettere e frasi durante la notte di Qadr ma piuttosto solo la sua conoscenza. Egli conobbe così i suoi contenuti universali”.20

Analogamente Suyuti riporta su autorità di Ibn ‘Abbas che il Corano venne rivelato in una sola volta nella Dimora dell’Onore (bayt al-‘izza), dopodiché Gabriele lo rivelò al Profeta nell’arco di 20 o 23 anni.21

Gli stadi della rivelazione

Secondo la classificazione di alcuni studiosi la rivelazione presenzia in tre stadi differenti. Il più elevato si trova nelle “tavole protette” e viene citato nel passo 85:21-22. Ad un livello inferiore si trova la “Dimora del Comando” (bayt al-ma’mur) o la “Dimora dell’Onore” (bayt al-‘izza) ove si dice fu rivelato il Corano durante la notte di Qadr. Infine nel più basso mondo venne rivelato il Corano in maniera graduale.

La storia di Waraqa Ibn Nawfal

Waraqa Ibn Nawfal era il cugino da parte paterna di Khadija bint Khuwaylid, cristiano e conoscitore di testi giudaici e cristiani. Si narra che quando il Profeta ricevette la prima rivelazione si impaurì e svenne. Quando tornò da sua moglie, questa vedendolo in stato preoccupante lo portò da Waraqa Ibn Nawfal che lo rassicurò dandogli la lieta novella della profezia.22

Alcuni esegeti come Allamah Tabrisi hanno però negato questa narrazione dicendo che il Profeta, per essere tale, non può essere soggetto ad ansia o errori nel ricevere la rivelazione. Ciò può essere rafforzato dal seguente passo: “O Mosè! Non temere, invero gli inviati niente temono presso di Me” (27:10).

Nella khutba al-Qasia del Nahj al-Balagha (sermone 192) invece si riporta che Ali Ibn Abi Talib disse: “Quando la rivelazione scese sull’Inviato d’Iddio sentii il lamento di Shaytan e chiesi: – O Messaggero d’Iddio, cosa è questo lamento?-. Disse:- E’ Shaytan che ha perso tutte le speranze di essere servito [o adorato]”. Secondo questa narrazione Ali era presente al momento della prima rivelazione, e il Profeta era conscio della sua missione e della presenza di Shaytan.

 

LA RACCOLTA DEL CORANO

Si riporta che il Profeta stesso si occupò della raccolta delle pagine del Corano. Secondo alcune fonti però la raccolta ufficiale si ebbe dopo la sua dipartita, in ispecie una versione ufficiale venne redatta durante il periodo del terzo califfo Uthman Ibn Affan. La documentazione è varia e potrebbe presentare contraddizioni apparenti necessitando dunque di uno scrutinio appropriato.

Quel che è chiaro è che sin dal tempo del Profeta vennero prese alcune misure onde preservare il Corano e non perderlo, come avvenne per le Scritture precedenti. Tra esse citiamo le seguenti:

1) Dopo aver ricevuto una rivelazione, il Profeta la recitava prima ad un gruppo di suoi compagni e poi, una seconda volta, ad un altro gruppo che includeva anche le donne.23

2) Il Profeta enfatizzò molto l’importanza della memorizzazione del Corano. Si riporta che disse: “Il migliore tra voi è chi apprende il Corano e lo insegna agli altri”.24 E disse anche: “Ripassate quello che avete memorizzato del Corano perché è facile che sfugga più di un cammello slegato”.25

3) I musulmani avevano l’obbligo di memorizzare alcune parti del Corano onde compiere le Preghiere quotidiane. Inoltre si riporta che il Profeta disse che il più degno di guidare i credenti durante la Preghiera è colui che ha memorizzato più parti del Corano.26

4) In alcune narrazioni si esortano i musulmani a leggere il Corano dal testo scritto.27 Se ciò è avvenuto al tempo del Profeta, inevitabilmente fogli e papiri scritti del Corano sono rimasti in circolazione sin dall’imminente periodo post-profetico.

5) Ai nuovi musulmani emigrati a Medina veniva assegnato un compagno per insegnar loro il Corano. L’insegnamento del Corano apportava una costante e udibile recitazione nella moschea di Medina al punto tale che il Profeta chiese ai credenti di recitare a bassa voce onde non disturbare gli altri.28

La raccolta del Corano al tempo del Profeta

Secondo varie fonti il Corano, oltre che ad essere stato memorizzato, sarebbe stato anche redatto in forma scritta al tempo del Profeta. Ciò viene confermato dal fatto che egli recitava direttamente da fogli: “un inviato da Iddio che recita fogli purissimi” (98:2). Inoltre Ibn Nadim menziona nell’opera “al-Fihrist” i seguenti scribi del Corano durante il periodo profetico: Ali Ibn Abi Talib, Sa’d Ibn Amr Ibn Zayd, Abu Darda’, Ma’adh Ibn Jabal, Abu Zayd Ibn Nu’man, Ubayy Ibn Ka’b e Zayd Ibn Thabit.

In una narrazione Ibn Abbas riporta che quando il Profeta fu in punto di morte alcuni compagni iniziarono a litigare in sua presenza in quanto egli voleva lasciare un documento scritto prima della sua dipartita. A quel punto Umar Ibn al-Khattab disse: “Avete il Corano tra voi. Il Libro d’Iddio ci è sufficiente”.29

Anche la famosa narrazione al-thaqalayn può essere utilizzata a tal riguardo, ove il Profeta afferma: “Lascio tra voi due cose preziose: il Libro d’Iddio e la mia famiglia”.30

La raccolta del Corano al tempo di Abu Bakr

Nonostante il Profeta ordinò ai suoi compagni di mettere per iscritto il Corano, è plausibile che durante la sua presenza non vi fosse ancora un unico codice di facile accesso per i fedeli. Ali Ibn Abi Talib dichiarò che non avrebbe più indossato il suo mantello (con l’intento di uscire di casa), all’infuori che per la Preghiera del venerdì, prima di aver raccolto il Corano.31 Lo fece in sei mesi compilando una versione inclusiva della spiegazione dei versetti e delle cause della loro rivelazione.

Durante la battaglia di Yamama32 ottanta, o quattrocento secondo alcune fonti, huffaz (memorizzatori del Corano) persero la vita preoccupando Abu Bakr sul destino del Corano e sul pericolo di perderlo o dimenticarlo. Fu così che commissionò Zayd Ibn Thabit di raccoglierlo “dai cuori di coloro che lo hanno memorizzato” per fornire un unico volume univocamente accettato ed in circolazione in terra musulmana. Si narra che fu Umar a fare presente ad Abu Bakr l’elevato numero di vittime tra gli huffaz ed a consigliargli di raccogliere i vari fogli sparsi del Corano. Inizialmente Abu Bakr rimase scettico, in quanto non voleva fare qualcosa che il Profeta non avesse fatto prima di lui, ma poi “Dio gli aprì il cuore” ed incaricò Zayd della missione.33

Degno di nota è il fatto che dalla stessa narrazione presente in Bukhari si evince che non vi fu fretta di avere una versione codificata del Corano in quanto la raccolta di Zayd passò personalmente ad Umar e poi a sua figlia Hafsa. Ciò potrebbe dimostrare che il Corano fosse già diffuso tra i musulmani del tempo e che la copia ricevuta da Hafsa fosse stata redatta nel malaugurato caso il Corano potesse andare perduto.

La raccolta al tempo di Uthman

Nel ventesimo anno dell’Egira quattro versioni codificate del Corano erano in utilizzo in quattro diverse zone: la versione di Ubayy Ibn Ka’b a Damasco, quella di Abdullah Ibn Mas’ud a Kufa, quella di Abu Musa al-Ash’ari a Basra e quella di Miqdad Ibn Amr a Hums.34

Inoltre si riporta che alcuni fedeli si lamentarono presso il califfo Uthman dopo aver sentito la recitazione del Corano da parte di alcuni non-arabi che non pronunciavano bene le parole, cambiandone così addirittura il significato. Fu così che Uthman, dopo essersi consultato con alcuni compagni a Medina, decise di redigere una versione del Corano codificata. Dopo essersi fatto fornire la versione di Hafsa riunì Zayd Ibn Thabit, Abdullah Ibn Zubayr, Sa’id Ibn al-As, Abdul-Rahman Ibn Harith Ibn Hisham per copiarla e fornire una copia finale e in caso di divergenza con Zayd si sarebbe dovuto rispettare il dialetto quraiscita. La copia venne infine ufficializzata e inviata nelle capitali di ogni regione.35

Apparentemente la copia di Hafsa venne usata come strumento di supporto o comparativo con le altre versioni. Si riporta inoltre che poco dopo aver formato la squadra di lavoro, si necessitò di altre persone: con Ubayy Ibn Ka’b a capo e altri sette che si unirono, il numero dei raccoglitori raggiunse dodici esperti. A volte la squadra ebbe il compito di correggere errori presenti nelle copie personali in circolazione come quanto riportato dal servo di Uthman, Abdullah Ibn Hani al-Barbari, il quale afferma di aver testimoniato ad alcune sessioni della raccolta ed aver visto Ubayy Ibn Ka’b apportare alcune correzioni.36

Così nel 25 dell’Egira cinque copie furono pronte. Uthman venne criticato per aver bruciato o distrutto alcune copie ma questa sua azione fu il risultato di una consultazione avuta con vari compagni. Ali Ibn Abi Talib disse a riguardo: “Giuro su Dio che Uthman non ha fatto niente sulla questione del mushaf senza il nostro consenso unanime” e “Se fossi stato il responsabile della codificazione del Corano non avrei agito differentemente”.37

Copie ufficiali vennero spedite poi a Kufa, Basra, Damasco e Mecca mentre la copia originale, chiamata anche “copia dell’Imam” venne tenuta a Medina.38 Secondo alcune fonti delle copie vennero inviate anche in Yemen e Bahrain.39

L’ordine delle sure

Le sure del Corano non sono state raccolte con criterio cronologico; spesso si possono anzi notare le sure rivelate a Medina all’inizio e quelle rivelate a Mecca alla fine. Ci sono due opinioni prevalenti riguardo l’ordine delle sure: la prima sostiene sia stato fornito sotto istruzione del Profeta stesso (ordine tawfiqi) e la seconda attraverso le delibere dei compagni (ordine ijtihadi). Alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che l’ordine della gran parte delle sure sia tawqifi ed il resto ijtihadi.

I sostenitori dell’ordine tawqifi forniscono ragioni come le seguenti:

1) E’ risaputo che il Corano veniva recitato al tempo del Profeta. Per far ciò naturalmente si necessitava di un ordine delle sure per la recitazione. Inoltre è riportato che compagni quali Abdullah Ibn Mas’ud e Ubayy Ibn Ka’b recitarono l’intero Corano in presenza del Profeta.

2) Le sure del Corano non sono in ordine cronologico né in ordine di lunghezza. Ne consegue che non vi sia un ordine ben preciso. Se i compagni del Profeta avessero ordinato le sure, avrebbero utilizzato un criterio di più facile identificazione. Al-Suyuti scrive: “Per provare che l’ordine delle sure del Corano basti pensare che le Hawamim (40-46) e le Tawasin (26-28) sono in sequenza ma le Musabbihat (17-57-59-61-62-64-87) non lo sono. Inoltre nelle Tawasin la sura al-Naml è la più lunga ma si trova in mezzo alle altre due”.40

3) Non esiste nessuna documentazione specifica che parli di discussioni dei compagni sull’ordine dei capitoli. Da ciò si deduce che un ordine stabilito esisteva sin dal tempo del Profeta.

I sostenitori dell’ordine ijtihadi invece affermano quanto segue:

1) L’ordine delle sure non è una questione importante per il fedele. Per esempio la versione di Ali fu scritta in ordine cronologico ma non quella di Abdullah Ibn Mas’ud o Ubayy Ibn Ka’b. Queste differenze provano che al tempo del Profeta non ci fosse stato un unico criterio riguardo l’ordine.

2) Fintanto che il Profeta era in vita c’era sempre la possibilità che altri passi o altre sure venissero rivelati. Dunque l’ordine di tutte le sure è stato effettuato dopo la sua dipartita. Alcuni studiosi ritengono che il presente ordine venne stabilito durante il califfato di Uthman Ibn Affan.

3) L’ordine delle sure non segue l’ordine cronologico della rivelazione e per questo motivo deve essere stato stabilito in un tempo successivo a quello profetico.

 

IL TAHRIF, VERSETTI ABROGANTI E ABROGATI

La questione del tahrif, ossia dell’alterazione o possibilità di alterazione del testo coranico, è stata ampiamente discussa sia dagli studiosi musulmani sia dagli orientalisti. Linguisticamente la radice “ha-ra-fa” indica il limite o il confine di qualcosa. Nel passo 22:11 il termine harf viene utilizzato proprio in questo senso, biasimando coloro che professano la religione a parole ma mancano di vera fede. Zamakhshari eloquentemente spiega che il loro esempio è come quello di chi marcia nelle ultime file di un esercito: se vince prende parte allo spartirsi del bottino e se perde è il primo a fuggire.41

I versetti 4:46 e 5:13 presentano il termine in forma verbale, avente il significato di “alterare”. “Alterazione” in questa sede potrebbe indicare sia “alterazione del testo scritto” che “alterazione dei significati”. Più precisamente si possono introdurre vari tipi di alterazione che elenchiamo di seguito:

– Alterazione del significato di una parola o di una frase: ciò implica l’errata interpretazione di uno o più passi coranici.

– Alterazione nella sequenza dei passi o delle sure: vale a dire inserire un passo o una sura in una posizione differente dall’ordine in cui sono stati rivelati.

– Alterazione nella recitazione: poiché sin dai primi tempi dell’Islam si è assistito a vari stili di recitazione del Corano. Al giorno d’oggi la documentazione storica ne riporta sette più noti, tre addizionali meno diffusi ed altri quattro più rari per un totale di quattordici recitazioni.

– Alterazione nella pronuncia: poiché ogni clan e tribù aveva un proprio dialetto diverso da quello quraiscita.

– Alterazione delle singole parole: ossia il cambiamento di una parola, presumibilmente difficilmente pronunciabile per qualcuno, con un suo sinonimo.

– Alterazione attraverso parti aggiuntive: inerente all’aggiunta di frasi addizionali, spesso considerate però come interpretazioni dei versetti o chiarificatrici delle cause della rivelazione e quindi non parte integrante del testo coranico.

– Alterazione attraverso l’omissione di parti testuali: ciò implica la perdita di passi rilevanti del Corano di cui non si avrebbe più notizia.

Le controversie maggiori inerenti alla questione del tahrif si sono avute in relazione all’ultimo tipo menzionato. Alcuni studiosi hanno effettivamente pensato alla possibilità di questo tipo di tahrif mentre la quasi totalità dei sapienti e degli studiosi musulmani ha rigettato questa idea.

L’eresiografo egiziano Muhammad Abdul-Latif, noto come Ibn al-Khatib, pubblicò nel 1948 un’opera intitolata “al-Furqan” dove cerca di provare l’alterazione del Corano ritenendo che già prima del califfato di Uthman il testo coranico sarebbe stato manomesso. La natura controversa dell’opera in un contesto come quello egiziano ne causò subito la messa al bando. In maniera analoga lo Shaykh iraniano Muhammad Husayn Nuri Tabrisi (d. 1902) scrisse “Fasl al-Kitab fi Tahrif Kitab Rabb al-Arbab” riportando una serie di narrazioni sia da fonti sunnite che sciite che proverebbero l’alterazione del testo coranico.

Alcune narrazioni sul tahrif

Nel “Sahih” di Bukhari si parla di un passo coranico inerente alla lapidazione. Ciò nonostante che il testo coranico a disposizione non riporti niente di simile. La questione della lapidazione viene infatti discussa sulla base di alcune narrazioni ed in ambito giuridico ma non su prove coraniche. Secondo quanto riportato da Ibn Abbas nel Bukhari si evince però che Umar Ibn al-Khattab ritenesse che vi fosse un versetto inerente alla lapidazione che un tempo fu memorizzato e compreso.42

In un’altra narrazione sempre presente nel Bukhari, Umar ricorda di recitare dal Corano il seguente passo, che non troviamo però presente nel Libro: “O gente! Non dite di discendere da altri che i vostri padri, che è miscredenza ritenere di discendere da altri che il proprio padre”.43

Nel “Sahih” di Muslim si cita Abu Musa al-Ash’ari che parla di una sura da lui dimenticata lunga come la sura al-Tawba e di un’altra lunga come una delle Musabbihat. Si tratta comunque di un hadith qudsi che Abu Musa potrebbe aver confuso ritenendolo parte del Corano poiché lo stesso Muslim lo riporta come hadith qudsi nel medesimo capitolo.44

Muslim riporta anche una narrazione da Aisha secondo la quale il legame di parentela tra una balia e un neonato sarebbe stato di dieci poppate finché non venne rivelato l’essere di cinque poppate. Aisha poi afferma che il passo delle cinque poppate si trovava ancora nel Corano nel momento della dipartita del Profeta.45

Infine nell’opera “al-Kafi” c’è un capitolo in cui si dice che solo Ali e i suoi successori abbiano raccolto il Corano come è stato rivelato46 ed in un altro capitolo si afferma che il Corano rivelato a Muhammad sia stato di 17.000 versetti.47

Gli studiosi musulmani hanno in genere scartato sempre l’idea che nel Corano vi fossero parti mancanti: a volte rifiutando l’autenticità di simili narrazioni ed a volte fornendone una più plausibile interpretazione.

Prove a favore dell’integrità del testo coranico

– L’evidenza storica: sin dagli inizi il Corano era accessibile sia ai fedeli che ai miscredenti. I passi venivano memorizzati dal Profeta e dai suoi compagni e poi venivano messi per iscritto dagli scribi. Il fatto che il Corano sfidi i miscredenti a produrre una sura o un versetto simile ad esso è prova dell’accessibilità anche da parte dei non-musulmani (al tempo sempre pronti a criticarne la portata) limitandone così il rischio di alterazione. Inoltre sin dai primi tempi il Corano venne studiato e analizzato in terra islamica da tutti i ricercatori nei vari campi: letterari, filosofi, storici, botanici, medici, si dedicarono tutti allo studio del Corano, nessuno dei quali ha mai parlato di sure mancanti.

– Il tawatur del Corano: il Corano è stato riportato attraverso numerose catene di trasmissione e non sarebbe logico pensare che tutti i trasmettitori, anche quelli che non si conoscevano o che erano in lite tra loro, si fossero messi d’accordo per apportare una versione unica del Corano.

– La parola coranica: molti studiosi musulmani, riponendo fede nel Corano, citano spesso il seguente versetto onde sostenere l’integrità del Corano: “Invero Noi abbiamo rivelato il Ricordo e Noi ne siamo i custodi” (15:9).

Versetti abroganti e versetti abrogati

E’ necessario a questo punto distinguere tra alterazione del Corano e abrogazione di alcuni versetti. Secondo molti studiosi infatti è possibile che il Corano abbia stabilito una determinata norma che poi sia stata abrogata in un secondo momento attraverso la rivelazione di un nuovo versetto. Ciò non implica alterazione o errore del testo coranico ma riguarda piuttosto uno sviluppo normativo dettato da circostanze contestuali. 

In ambito teologico è difficile, se non impossibile, concepire il fatto che Dio abbia rivelato una legge imperfetta che necessiti di cambiamenti. Ne consegue quindi che le abrogazioni non rappresentano in realtà un cambiamento nel volere di Dio bensì mirino a fornire un apprendimento graduale di certe questioni religiose all’essere umano.

L’opinione degli studiosi sui versetti abrogati nel Corano varia. Al-Suyuti nell’opera “al-Itqan” cita ventinove esempi di abrogazione nel Corano. Shah Wali Allah (d.1175 H.) però ne accetta cinque mentre Sayyid al-Khu’i soltanto uno.

L’opinione varia anche riguardo al passo 2:206 che molti studiosi hanno attribuito all’abrogazione (naskh) di un versetto o di una legge con un altro/altra. Secondi alcuni l’abrogazione non sarebbe limitata al Corano ma anche alle Scritture precedenti come nel caso della direzione della qiblah verso Gerusalemme che il Corano abroga con l’ingiunzione di pregare verso Mecca (2:144). Altri hanno ritenuto che il passo in questione, e in ispecie il termine “ayah”, invece faccia riferimento ai miracoli profetici e non ai versetti coranici.

Nell’analizzare il significato di “segno” riferito ad un passo coranico Allamah Tabatabai afferma: “Il passo coranico viene definito ‘segno’ che implica un’indicazione verso qualcosa altro. Una volta abrogato il passo rimane esistente ma perde la sua qualità di segno, non riferendosi più ad un comando che adesso è stato abrogato”.48

Le condizioni del naskh

– Il passo abrogato (mansukh) deve essere una legge rivelata, mentre non può trattarsi di un principio razionale, una verità morale o un evento storico. Comunque è necessario distinguere tra abrogazione e specificazione (takhsis) in quanto spesso i versetti sono varianti o eccezioni particolari di una regola generale già citata altrove.

– La situazione e i fattori del passo abrogante e di quello abrogato devono essere le medesime poiché è possibile che due diverse leggi siano rispettivamente appropriate in due diverse circostanze.

– Il passo abrogato non deve riguardare una legge in vigore soltanto per un periodo limitato di tempo altrimenti, nel caso suddetto, non si può parlare di abrogazione.

– I due passi in questione devono escludersi a vicenda, nel senso che non possono riguardare due leggi in vigore nello stesso momento.

– L’abrogazione è un argomento che riguarda il Corano e la Sunna e non riguarda leggi derivate dall’intelletto, inferenze mentali, consenso dei sapienti, eccetera. Di conseguenza non si parla di abrogazione dopo la dipartita del Profeta e la rivelazione del Corano.

Tipologie del naskh

– Abrogazione della recitazione e della regola (naskh al-tilawah wa al-hukm):

° Questo tipo di abrogazione riguarda un passo rivelato poi conseguentemente abrogato (cancellato) la cui legge è stata anch’essa abrogata. Un esempio di questo tipo di abrogazione accettato da alcuni sapienti è quello inerente la narrazione delle poppate riportata da Aisha.

– Abrogazione unicamente della recitazione (naskh al-tilawah):

° Questo tipo di abrogazione riguarda un passo rivelato che veniva un tempo recitato ma che poi è stato abrogato (cancellato) ma la cui regola è sempre rimasta in vigore. Secondo alcuni studiosi un esempio potrebbe essere quello inerente alla narrazione della lapidazione riportato da Umar Ibn al-Khattab.

– Abrogazione soltanto della regola (naskh al-hukm):

° Questo tipo di abrogazione riguarda una regola abrogata il cui passo inerente continua ad essere recitato e mantenuto nel testo coranico. A tal riguardo si hanno tre casi:

a) Il passo viene abrogato da una valida narrazione profetica come è stato detto da alcuni studiosi in riferimento al versetto 2:240 che parla di un anno di mantenimento per le vedove. Il passo coranico 4:12 stipula il diritto di eredità per le vedove e il passo 2:234 stipula il periodo di attesa (’idda) a quattro mesi; stando a diverse narrazioni il contenuto del primo passo venne abrogato.

b) Il passo viene abrogato da un altro passo che si riferisce alla stessa questione come nel caso del versetto 58:12 che viene poi abrogato dal versetto 58:13.

c) Il passo viene abrogato da un altro passo che non si riferisce alla stessa questione, come nel caso del passo 8:72, da cui si deduce una regola inerente l’eredità tra parenti che poi viene abrogata da una regola dedotta dal passo 33:6 che limita l’eredità tra i parenti più stretti.

Al-Shaf’i e Ahmad Ibn Hanbal non accettano in nessun caso la prima tipologia di abrogazione mentre Sayyid Khu’i dice che una narrazione mutawatir può in teoria abrogare un passo coranico anche se nella pratica non avviene. In riferimento al passo 2:240 al-Khu’i afferma che si riferisce ad una raccomandazione, non ad un ordine, evidenziando l’espressione “e se escono…”. Egli dunque non trova alcuna contraddizione tra il primo passo e gli altri due che presumibilmente l’avrebbero abrogato. Rifiuta inoltre anche l’idea secondo la quale nel Corano vi sarebbero abrogazioni tra i versetti, rifiutando dunque così la terza tipologia di abrogazione. L’unico caso sarebbe quello inerente ai passi 58:12 e 58:13 con lo scopo di provare la superiorità di Ali nei confronti degli altri compagni del Profeta.49

 

MODALITÁ DI RECITAZIONE DEL CORANO

Con il termine “qira’ah” si intende la recitazione del Corano compiuta con voce udibile (da parte di chi recita o di chi ascolta). Esistono diverse modalità di recitazione le quali presentano molteplici varianti. Sette di queste recitazioni sono le più note e diffuse tra i musulmani nonostante anche altre modalità siano sopravvissute fino al giorno d’oggi.

Ogni recitazione viene compiuta nel rispetto delle regole del tajwid il quale può essere definito come l’insieme delle regole atte a fornire una “recitazione canonica”. L’apprendimento del tajwid può essere suddiviso in quattro aree di studio:

– Makharij al-huruf: che si occupa del modo in cui vengono prodotti i suoni ed identifica gli organi da dove provengono.

– Sifat al-huruf: che si occupa di studiare le caratteristiche e le qualità delle lettere e dei suoni.

– Ahkam al-huruf: che si occupa delle regole tecniche della recitazione.

– Qira’ah: che si occupa della recitazione pratica nel rispetto di quanto appreso nelle precedenti aree di studio.

La recitazione (qira’ah) può essere compiuta in vari stili: lento (tahqiq), medio (tadwir) e veloce (hadr). Il criterio di base dei vari stili, così come delle personalizzazioni di tono, è il rispetto del tajwid e l’osservanza del tartil (recitazione chiara e cadenzata). Nel passo 73:4 il Profeta stesso viene esortato a recitare il Corano nel cuore della notte con tartil.

Come accennato in precedenza, la diffusione dell’insegnamento del Corano apportò ben presto diverse modalità di recitazione. Al tempo del Profeta un gruppo di compagni era già noto per la recitazione ed essi venivano chiamati qurra’ (recitatori). Secondo quanto riportato da Suyuti nell’opera “al-Itqan” tra i più noti qurra’ vengono menzionati Uthman Ibn Affan, Ubayy Ibn Ka’b, Zayd Ibn Thabit, Abdullah Ibn Mas’ud e Abu Musa al-Ash’ari. In seguito molti studenti dei compagni memorizzarono e impararono l’arte della recitazione del Corano nei principali centri di insegnamento. La versione codificata da Uthman veniva utilizzata in cinque città principali:

– A Medina con Sa’id Ibn Musayb, Mu’adh al-Qari, Abdul-Rahman Ibn Harmaz al-A’raj, Ibn Shihab al-Zuhri, Zayd Ibn Aslam e altri.

– A Mecca con Ubayd Ibn Umayr, ‘Ata’ Ibn Abi Rabah, al-Tawus, Mujahid, Ikrima Ibn Abi Malkiyya e altri.

– A Kufa con Alqama, al-Aswad, Masruq, Ubayda, Amr Ibn Sharhabil e altri.

– A Basra con Abu al-Aliya, Abu al-Raja’, Abu al-Aswad al-Du’ali, Hasan al-Basri, Qattada e altri.

– A Damasco con Mughira Ibn Abi Shihab al-Makhzumi, Khalifa Ibn Sa’d e altri.

Dopo il periodo dei compagni (sahaba) e dei loro studenti (tabi’un) nuove generazioni si occuparono dell’arte della recitazione dedicando la loro intera vita all’insegnamento del Corano e delle sue scienze. Tra i primi di questa era a scrivere riguardo questa arte vi fu Aban Ibn Taghlab (d. 141 H.) che studiò con Ali Ibn Husayn. L’opera porta il titolo di “Kitab Ma’ani al-Qur’an” (libro dei significati del Corano) e al-Najashi la cita chiamandola “Kitab al-Qira’at” (il libro delle recitazioni).

Comunque probabilmente il testo più antico a disposizione in materia di qira’at è quello di Abu Ubayda Qasim Ibn Salam (d. 224 H.) intitolato “al-Qira’ah”. Fu proprio la generazione dopo quella dei tabi’un a diffondere maggiormente l’arte della recitazione e i diversi stili e modalità di recitazione tra cui citiamo i seguenti:

– A Medina: Abu Ja’far Yazid Ibn al-Qa’qa’ (d. 128 H.), Shayba Ibn Nasah (d. 130 H.) e Nafi’ Ibn Abi Nu’aym.

– A Mecca: Abdullah Ibn Kathir (d. 120 H.), Hamid Ibn Qays al-A’raj e Muhammad Ibn Abi Muhaysin.

– A Kufa: Hamza Ibn Habib al-Zayyat (d. 156 H.), Yahya Ibn Waththab (d. 103 H.), Asim Ibn Abi Najud (d. 127 H.) e Ali Ibn Hamza al-Kisa’i (d. 179 H.).

– A Basra: Ya’qub al-Hadhrami (d. 205), Abdullah Ibn Abi Ishaq al-Hadhrami (d 171 H.), Abu Amr Ibn al-A’la (d. 154) e Isa Ibn Umar (d. 169 H.).

– A Damasco: Abdullah Ibn Amir (d. 118 H.), Ismail Ibn Muhajir, Atiya Ibn Qays al-Kilabi e Yahya Ibn Harith al-Zamari.

Sette tra i qurra’ menzionati saranno poi noti come al-qurra’ al-sab’a (i sette recitatori)50 la cui recitazione è stata trasmessa sino ad oggi. Essi sono i seguenti:

– Abu Abdullah Nafi’ Ibn Abi Nu’aym al-Madani: originario di Isfahan, visse a Medina. Fu mawla (schiavo liberato) di al-Layth ed autorità di qira’ah a Medina per settanta anni. Imparò l’arte della recitazione da più di settanta maestri tra cui Abu Maymuna, schiavo di Umm Salma moglie del Profeta. E’ stato riportato che la sua recitazione fosse la favorita di Ahmad Ibn Hanbal. Molti giuristi malikiti hanno sostenuto la superiorità di questa modalità di recitazione rispetto alle altre.

– Abdullah Ibn Kathir al-Makki: di origini persiane, venne inviato in Yemen per sostenere una spedizione in Abissinia51. Si dice abbia incontrato due compagni: Abdullah Ibn Zubayr e Anas Ibn Malik. Apprese la recitazione da Abdullah Ibn Sa’ib al-Makhzumi il quale la apprese da Ubayy Ibn Ka’b. Sia Bukhari che Muslim tramettono hadith sulla sua autorità. Muhammad Ibn Idris al-Shaf’i era solito recitare nella sua modalità.

– Abu Bakr Asim Ibn Abi al-Najud al-Kufi: kufano che imparò la recitazione da Abu Abd al-Rahman Abdullah Ibn Habib al-Sullami, un discepolo di Ali Ibn Abi Talib. Abu Hanifa era solito recitare in questa modalità.

– Abu ‘Ammara Hamza Ibn Habib al-Zayyat al-Kufi: di origini persiane. E’ possibile che abbia incontrato qualche compagno durante la sua infanzia. Studiò sotto la tutela dell’Imam al-Sadiq da cui apprese anche l’arte della recitazione. La sua recitazione però risale al Profeta attraverso Abdullah Ibn Ma’sud. 

– Ali Ibn Hamza al-Kisa’i al-Kufi: originario di Rey. Divenne presto autorità di rilievo a Kufa in materia di qira’ah. La sua recitazione risale ad Ali Ibn Abi Talib attraverso Ibn Abi Layli. Fu inoltre esperto in grammatica araba e il califfo abbasside Harun al-Rashid lo utilizzò per insegnare Corano e letteratura ai suoi due figli Amin e Ma’mun. 

– Abu Amr Ibn al-A’la al-Basri: di origini persiane. Studiò sotto la tutela di numerosi maestri a Mecca. Medina, Nasra e Kufa. Esperto di grammatica araba e poesia. E’ stato elogiato da molti dotti per la sua conoscenza e religiosità.

– Abdullah Ibn Amir al-Dimashqi: fu imam della Moschea di Damasco e giudice durante e dopo il regno di Umar Ibn Abd al-Aziz. Apprese la recitazione da alcuni compagni del Profeta come Fazala Ibn Ubayd e Abu Darda’. Muslim cita sulla sua autorità nel suo “Sahih”.

Alla fine del terzo e all’inizio del quarto secolo gli esperti delle scienze coraniche iniziarono a scrivere opere inerenti le modalità di recitazione più diffuse. Il più celebre di questi studi venne scritto da Abu Bakr Ahmad Ibn Mujahid (d. 324 H.) sulle sette modalità di recitazione più popolari. Questi scelse le sette modalità più in voga del suo tempo, che considerava le migliori, ed erano prevalenti a Mecca, Medina, Kufa, Basra e Damasco.52  

Una delle ragioni per cui si optò per sette recitazioni in particolare a discapito delle altre fu la rapida diffusione di molteplici versioni la cui preservazione di ognuna sarebbe stata assai difficile. Fu così vennero “canonizzate” le sette modalità.

Alcuni studiosi hanno considerato queste sette modalità di recitazione come mutawatir ossia aventi un elevato numero di catene di trasmissione. Zarkashi (d. 794 H.) però, nell’opera “al-Burhan fi Ulum al-Qur’an”, ripone l’attenzione sul fatto che in verità si tratterebbe di modalità aventi una sola catena di trasmissione (khabar al-wahid)

In definitiva è difficile limitare il numero delle modalità di recitazione a sette, e la presenza di altre modalità disponibili tutt’oggi ne porta testimonianza. Esistono inoltre versioni parziali di alcune modalità come quelle attribuite a Abdullah Ibn Ma’sud e Ubayy Ibn Ka’b. Suyuti cita le seguenti condizioni per la validità di una modalità di recitazione:

– La recitazione deve avere una catena di trasmissione autentica risalente al Profeta.

– La recitazione deve essere conforme alle regole grammaticali della lingua araba.

– La recitazione deve essere conforme alla versione codificata da Uthman.53

I sette ahruf

Il termine “ahruf” è il plurale di “harf” e possiede vari significati. Letteralmente significa “limite, estremità” di un qualcosa. Nel Corano viene utilizzato in tre contesti differenti:

– Nel senso di “margine, limite, lato” come nel passo: “E tra la gente c’è chi adora Allah a margine” (22:11).

– Nel senso di “voltarsi” come nel passo: “E in quel giorno chi si tirerà indietro, eccetto chi si volgerà per combattere o raggiungere un gruppo, incorrerà nell’ira di Allah” (8:16).

– Nel senso di “distorcere, alterare” come nel passo: “E un gruppo tra essi era solito ascoltare la parola di Allah e poi la ha alterata dopo averla appresa mentre ben sapevano” (2:75).

Nel contesto delle scienze coraniche per sette ahruf si intendono spesso le sette recitazioni che alcuni hanno identificato, o confuso (dipende dai punti di vita), con le sette qira’at. Come già spiegato le sette qira’at vennero introdotte da Abu Bakr Ibn Mujahid mentre le narrazioni concernenti i sette ahruf sono attribuite direttamente al Profeta quando ancora il concetto delle sette qira’at non era in uso.

Che il Corano sia stato rivelato in sette ahruf è oltretutto accettato soltanto da alcuni studiosi mentre altri hanno rigettato tale idea. I sostenitori della suddetta tesi si basano su alcune narrazioni secondo le quali l’arcangelo Gabriele avrebbe rivelato il Corano al Profeta recitandoglielo per sette volte, una diversa dall’altra.54

Le narrazioni sui sette ahruf sono numerose. Comunque versioni differenti inerenti allo stesso evento hanno indotto alcuni studiosi a dubitare dell’autenticità di questa idea e ad invalidarne la legittimità. Non c’è inoltre unanimità neanche sul significato stesso di ahruf in riferimento alle sette recitazioni di Gabriele:

– Alcune narrazioni affermano che a volte i compagni del Profeta, onde facilitare la recitazione agli iniziati, sostituivano alcune parole di difficile pronuncia con relativi sinonimi. Questa opinione venne adottata da al-Tabari55 e secondo al-Qurtubi si tratterebbe dell’opinione adottata dalla maggior parte dei sapienti.56

– Secondo una narrazione riportata da Ibn Ma’sud il Corano sarebbe stato rivelato in sette ahruf ossia contenente comandi, proibizioni, permissibilità, atti proibitivi, passi chiari, passi ambigui e parabole.57

– Secondo un’altra opinione riportata da al-Bayhaqi (d. 458) in “al-Qamus” per “sette ahruf” si intenderebbero le sette recitazioni basate sui sette dialetti arabi prevalenti del tempo: Quraysh, Hudhayl, Hawazan, al-Yaman Kinana, Tamim e Thaqif.

La posizione di chi non accetta la tesi che il Corano sia stato rivelato in sette ahruf viene riassunta in una narrazione attribuita a Ja’far al-Sadiq: “Il Corano è uno, rivelato dall’Uno. Le differenze sono state apportate dai narratori”.58

 

I VERSETTI MUHKAM E MUTASHABIH

Si possono enumerare due tipi di passi coranici: quelli espliciti (muhkam) e quelli impliciti (mutashabih). Nel Corano è scritto: “Egli è Colui che ti ha rivelato il Libro: alcuni dei suoi passi sono espliciti, e sono la madre del Libro, mentre altri sono impliciti” (3:7).

I versetti espliciti sono quelli il cui significato non può essere frainteso in quanto non si presta a più interpretazioni. I passi impliciti sono invece quelli che possono possedere più significati. In altre parole, il significato di un versetto esplicito si comprende immediatamente mentre ciò non avviene nel caso di un versetto implicito. E’ per questo motivo che vari studiosi hanno detto che onde comprendere i passi impliciti è necessario far ricorso ad uno o più passi espliciti.

Degno di nota è il fatto che a volte i versetti coranici sono stati considerati generalmente espliciti mentre altrove sono generalmente stati considerati impliciti.

Muhkam deriva dalla radice hakama che in origine significa “impedire, prevenire”. I termini  provenienti da questa radice etimologica portano con sé un significato di fermezza e resistenza contro ogni influenza esterna. Per esempio il termine hikma (tradotto comunemente con “saggezza”) implica un tipo di conoscenza che previene l’ignoranza o pensieri e azioni scorretti. Con hukm invece si indica in genere un’autorità atta a prevenire disobbedienza.

Mutashabih invece deriva dalla radice shabiha che letteralmente significa “assomigliare”. Dunque la “somiglianza” in questo caso risiede tra la verità e la falsità. Si tratta di una somiglianza che rende il passo soggetto a differenti interpretazioni che ne appannano il puro significato il quale trascende l’espressione testuale e necessita di tafsir o ta’wil.

Nel precedentemente citato versetto 3:7 si dice inoltre che i versetti definitivi sono la “madre del Libro”. Il termine arabo um (madre) nel suo senso lessicale indica un qualcosa nei confronti della quale un’altra cosa fa costante ritorno. In questo contesto si tratta di un tipo di ritorno particolare: una parte del messaggio che ritorna alla sua chiara origine. Di conseguenza il termine “madre” nel passo citato vuole indicare il ritorno dei passi impliciti ai versetti espliciti.

Per esempio versetti quali 20:39, 11:37, 48:10, 5:64 e 2:115 sono stati interpretati da molti studiosi alla luce del passo chiaro ed esplicito 42:11.

D’altra parte è pur vero che ogni scuola o attitudine dottrinaria ha spesso cercato di provare la propria tesi citando passi coranici. Un gruppo prova che Iddio possiede un corpo fisico, un altro che l’essere umano non possiede il libero arbitrio, un altro ancora che l’essere umano possiede una libertà assoluta indipendente dal volere divino, altri provano che i profeti abbiano commesso peccati ed errori, tutti citando passi a loro favore. Nonostante tanti studiosi musulmani abbiano affermato come questo sia stato il risultato di aver seguito i passi impliciti senza aver fatto ritorno a quelli espliciti, le divergenze teologiche e legali in seno alle varie scuole rimano comunque un dato di fatto. 

Una teoria afferma che se l’umanità avesse avuto la stessa comprensione del Profeta Muhammad nessuno avrebbe mai percepito versetti impliciti; però a causa delle differenti capacità intellettuali delle genti, si pone il suddetto problema. Il nodo cruciale della discussione è contenuto nel versetto seguente: “Egli fa scendere l’acqua dal cielo, e le valli si inondano secondo la loro capienza e la corrente trasporta schiuma gorgogliante, una schiuma simile a ciò che si fonde sul fuoco per trarre gioielli e utensili. Così Iddio propone le metafore del vero e del falso e si perde la schiuma e resta sulla terra ciò che è utile agli uomini. Così Iddio propone le parabole” (13:17).

Le gocce di pioggia in sé stesse non contengono nessuna traccia di impurità e, se contenute in un contenitore pulito, rimangono incontaminate. In maniera simile i versetti del Corano sono stati rivelati nel cuore del Profeta con chiarezza distintiva senza possibilità alcuna di incomprensione; è soltanto nel momento in cui la pioggia è diventata parte dei corsi d’acqua che scorrono nella terra sporca che appare la sporcizia. Così quando i versetti coranici vengono esposti ai cuori e alle menti che non sono puri, sorge la possibilità dell’impurità e dell’errore. Ogni vallata e pianura porta l’acqua secondo la propria capacità lasciandosi dietro la propria purezza originale. In maniera simile ogni persona apprende gli insegnamenti del Corano secondo la propria capacità. I versetti impliciti sono parte del Corano ma la loro ambivalenza può essere facilmente dispersa analizzando i versetti espliciti.

Il ta'wil

Alcuni studiosi hanno utilizzato i termini “tafsir” e “ta’wil” in riferimento al medesimo significato, comunque tecnicamente parlando il termine “tafsir” è stato prevalentemente utilizzato in riferimento alla spiegazione dei termini e dei concetti presenti nel Corano mentre il termine “ta’wil” è stato usato primariamente per la spiegazione dei significati più ambigui, e a volte controversi, in esso racchiusi. Ben presto per “tafsir” venne intesa quella scienza  atta a comprendere il testo sacro mentre per “ta’wil” venne intesa quella scienza atta all’acquisizione delle nozioni più profonde inerenti ai passi coranici stessi. Secondo alcuni il tafsir spiegherebbe il significato apparente delle parole e delle frasi mentre il ta’wil quello “meno plausibile”.

Il termine ta’wil deriva dalla radice awwala che significa “ritornare alle origini”. Di conseguenza il ta’wil è una scienza attraverso la quale si è in grado di stabilire il significato più remoto dei contenuti del Corano ossia la sua pura realtà e la piena realizzazione concettuale.

A volte il dubbio nell’interpretazione può essere causato dalle parole stesse, laddove l’ascoltatore o il lettore dubita sulle possibilità del significato inteso, ad esempio come nel caso dei passi impliciti. Altre volte il dubbio può essere causato da un’azione, ad esempio come quando Mosè non riuscì a mantenere il silenzio a causa delle azioni del suo compagno, come citato nella sura al-Kahf.

Ogni versetto, sia esso esplicito o implicito, non è esente da ta’wil. Nel caso di un passo esplicito, può trattarsi del principio che vi è dietro ad un ordine, come il fondamento della Preghiera rituale nell’Islam, mentre nel caso di un passo implicitopotrebbe trattarsi della realtà finale espressa nell’Aldilà, come ad esempio la misericordia d’Iddio. 

Alcuni hanno ritenuto che il ta’wil dei versetti impliciti implichi necessariamente un significato più profondo ed esoterico del significato apparente. Ciò viene menzionato anche in alcune narrazioni come la seguente, attribuita al Profeta stesso: “Non esiste passo nel Corano che non abbia un significato apparente e uno nascosto”. L’Imam al-Baqir commentò queste parole nel seguente modo: “Il suo significato apparente è ciò che è stato rivelato [tanzil] e il suo significato nascosto è il suo ta’wil. Alcune verità inerenti ta’wil sono [già] avvenute, altre dovranno avvenire”.

Altri hanno ritenuto che per ermeneutica s’intenda “condurre l’argomento alla sua interpretazione finale”.

Di fatto il termine ta’wil compare diciassette volte nel Corano con tre significati differenti:1. Quattro volte con il significato di interpretazione.2. Otto volte come interpretazione di sogni ed eventi.3. Cinque quale risultato finale di certe azioni.

Chiarificazioni sul versetto 3:7

Nel versetto 3:7 si legge: “Egli è Colui che ti ha rivelato il Libro: alcuni dei suoi passi sono espliciti, e sono la madre del Libro, mentre altri sono impliciti. Coloro che hanno una malattia nei propri cuori seguono ciò che è implicito cercando la corruzione e il suo ta’wil mentre nessuno conosce il suo ta’wil all’infuori d’Iddio e coloro che sono radicati nella conoscenza dicono:- Crediamo in esso, tutto ciò proviene dal nostro Signore-. Ma nessuno se ne rammenta all’infuori di coloro dotati di intelletto” (3:7).

Esistono tre opinioni differenti inerenti alla lettura di questo passo coranico. Un gruppo di studiosi ha ritenuto che dopo l’espressione “all’infuori di Dio” vi sia da rispettare una pausa e quindi leggono il passo nel seguente modo: “Nessuno conosce il suo ta’wil all’infuori di Dio”.

Un altro gruppo di studiosi ha ritenuto che la lettura dell’espressione in questione continui includendo anche “coloro che sono radicati nella conoscenza” e quindi leggono il passo nel seguente modo: “Nessuno conosce il suo ta’wil all’infuori di Dio e coloro che sono radicati nella conoscenza”. Secondo questa lettura “coloro che sono radicati nella conoscenza” conoscono l’interpretazione dei versetti impliciti.

E’ stato riportato che una volta uno studente di Ibn Abbas  disse al suo maestro “nessuno conosce l’interpretazione del Corano all’infuori di Dio” e Ibn Abbas rispose dicendo: “…e coloro che sono radicati nella conoscenza ed io sono tra coloro radicati nella conoscenza”.

Una terza opinione viene sostenuta da Allamah Tabatabai il quale afferma che il passo coranico limita la conoscenza del ta’wil a Dio ma ciò non significa che nessuno è in grado di conoscerla. Infatti essa può essere ottenuta attraverso una conoscenza concessa da Dio stesso come nel caso della conoscenza dell’occulto:

“Dì:- Nessuno nei cieli e nella terra conosce l’occulto all’infuori di Dio-” (27:65).

“Il Conoscitore dell’occulto! Egli non svela a nessuno [nozioni inerenti] all’Invisibile all’infuori di un Messaggero di cui si compiace” (72:26-27).

Come si può notare, nonostante la restrizione del primo passo citato, Dio conferisce la Sua conoscenza ad alcune persone prescelte. La conoscenza dell’occulto rimane comune tema di dibattito tra gli studiosi i quali non sono unanimi nello stabilirne i limiti e la portata.

 

IL MIRACOLO CORANICO

Fa parte del credo dei musulmani ritenere che i profeti siano stati inviati da Iddio per guidare l’umanità e che questi abbiano mostrato chiari segni onde provare la veridicità del loro messaggio. Tra questi segni vengono annoverati i miracoli: atti straordinari fuori dalla portata comune, inimitabili e divinamente protratti.

In alcuni casi i profeti hanno mostrato miracoli come risposta alle richieste della propria gente, come nel caso del profeta Salih che fece giungere una cammella dal lato di una montagna. A volte i profeti hanno mostrato miracoli in base al contesto storico o sociale in cui vivevano: per esempio Mosè trasformò il suo bastone in serpente in una società in cui l’uso della magia era assai diffuso, oppure Gesù curò i lebbrosi, ridiede vista ai ciechi e riportò in vita i morti in un ambiente non privo di asceti ed eremiti e laddove la medicina del tempo era relativamente in fase avanzata. Nella penisola arabica la cultura al tempo del Profeta Muhammad si incentrava molto sull’eloquenza e la retorica al punto tale da essere considerata la forma d’arte più affascinante per legenti. Fu così ch’egli presentò il Corano avente uno stile unico, né in prosa né in poesia, indescrivibile per gli arabi del tempo e inimitabile nella forma e nel contenuto. I nemici dell’Islam cercarono sin dall’inizio di opporsi all’influenza esercitata dal Corano definendo il Profeta un poeta (21:5), un indovino (52:29), uno stregone (51:39) e addirittura un folle (15:6).

Walid Ibn Mughira al-Makhzumi, un noto oratore dell’epoca nonché particolarmente avverso all’Islam, passò un giorno innanzi al Profeta e sentendolorecitare in Preghiera alcuni passi della sura al-Mu’min ne rimase estrefatto e ammise la propria incapacità di produrre un qualcosa di simile. In seguito i Quraysh lo esortarono ad impegnarsi nel confutare la sfida coranica ma, durante un’assemblea appositamente organizzata, non ne fu in grado. Walid così si chiuse in casa per tre giorni stupito dal fascino dei versetti coranici. La sua ostilità comunque non gli permise di abbracciare la religione d’Iddio. Il Corano ne parla nei passi 74:18-25. 

Alcune opere che sono state scritte in ambito islamico sull’inimitabile natura del Corano (i’jaz al-Qur’an) sono “I’jaz al-Qur’an fi nazmihi wa ta’lifihi” di Muhammad Ibn Zayd al-Wasiti (d. 307 H.) e “Bayan i’jaz al-Qur’an” di Abu Sulayman Ibn Ibrahim al-Busti (d. 388 H.). Altri famosi autori classici ad averne parlato sono al-Rummani (d. 386 H.), al-Baqillani (d. 403 H.), al-Jurjani (471 H.), Fakhr al-Razi (d. 606 H.) e al-Suyuti (d. 910 H.). Tra gli studiosi contemporanei si possono citare al-Balaghi (d. 1352 H.), Tabatabai (d. 1401 H.) e al-Khu’i (1412 H.).

E’ interessante apprendere che i miracoli non sono mai stati presentati dai profeti come premessa alla loro missione. In molti casi, infatti, alle genti veniva direttamente chiesto di far uso del proprio intelletto onde realizzare la realtà racchiusa nel messaggio religioso. Quando inoltre i cristiani discussero con il Profeta si emozionarono a tal punto che si misero a piangere dopo aver udito le sue argomentazioni. Dato però che i profeti hanno avuto a che fare anche con molti scettici e increduli, i miracoli rappresentano un incentivo per richiamare la loro attenzione.

Il paragone del miracolo coranico con gli altri miracoli

Esistono alcune peculiarità, elencate di seguito, inerenti al miracolo coranico che lo contraddistingono dai miracoli compiuti dai profeti precedenti:- Il miracolo coranico è eterno ed universale, accessibile a tutti e non è delimitato da un particolare periodo o contesto storico.- A differenza degli altri miracoli, il Corano è un miracolo duraturo nel senso che non è svanito con la dipartita del profeta che lo ha portato.- Se una persona sviluppa i propri tratti interiori e le proprie capacità spirituali scoprirà sempre maggiori nuovi significati racchiusi nel Corano.Non si tratta dunque di un miracolo rivolto solo agli increduli.

Aspetti del miracolo coranico

Nel descrivere i vari aspetti miracolosi del Corano sono state menzionate differenti caratteristiche definite da alcuni studiosi come “inimitabili”:- Gli elevati ideali in esso racchiusi inerenti a guidare l’uomo verso la propria meta finale. Nel Corano vengono spiegate le ragioni e i segreti dell’esistenza umana, il ruolo delle creature e la loro relazione con il Creatore.- Le leggi coraniche presentano una serie di diritti e doveri per ogni aspetto dell’esistenza umana. Esse infatti non solo si relazionano agli aspetti individuali e sociali ma anche alla responsabilità nei confronti d’Iddio e alla stazione nell’Aldilà.- La logica del Corano è semplice ed accessibile a tutti ma, allo stesso tempo, profonda ed efficace per ogni persona. A differenza dei testi adatti ad una sola categoria di persone (eruditi, classe media, gente comune, ecc…) il Corano parla a tutti in base ai diversi livelli di capacità intellettuale, esperienza e pietà.- Nonostante il Corano non sia un libro di scienza moderna alcuni dei fenomeni naturali che vengono in esso discussi sono in armonia con alcune scoperte scientifiche degli ultimi secoli.- A volte il Corano fornisce alcune informazioni riguardo a società e comunità antiche o alle intenzioni degli ipocriti non accessibili pubblicamente. Fa menzione inoltre di alcune previsioni che presto si avverarono, come il trionfo dei romani e il rientro dei musulmani a Mecca.

Secondo l’opinione di vari studiosi i fattori citati non rappresentano aspetti miracolosi di per sé e dunque non sono relazionabili al miracolo coranico. Il miracolo coranico sarebe dunque inerente all’eloquenza e al linguaggio che non trova eguali nella storia dell’umanità. In passato si è scritto molto sul carattere linguistico di versetti e sulla loro inimitabilità. Al riguardo al-Jurjani scrive: “Se una singola parola viene rimossa da un passo coranico, è futile cercarne una nell’intero vocabolario arabo che la possa sostituire”.

Dato che come primo impatto il Corano venne introdotto al pubblico oralmente, è logico ritenere che la sua eloquenza sia stata il primo fattore ad aver catturato l’attenzione delle genti. Ben presto gli studiosi musulmani si dedicarono così allo studio dell’eloquenza e alla sua standardizzazione attraverso le varie branche della linguistica.

Dato che il Corano rappresenta un miracolo eterno per l’intera umanità e non soltanto per un determinato popolo vissuto in una particolare era, non è sorprendente per il musulmano constatare che si tratti dell’unico libro di origine abramitica che ci è giunto nella sua lingua e forma originale. La lingua dunque diventa uno strumento fondamentale del miracolo profetico così che le future generazioni di musulmani abbiano accesso al messaggio spirituale e religioso e vengano attratte dalla Parola Divina attraverso la recitazione e la ponderazione sui versetti.

Anche in psicologia si conclude che tutto quello che vien detto possiede un’influenza su chi ascolta e riceve il messaggio. Religiosamente parlando, le parole possono determinare la dimora della persona nell’Aldilà: offendere verbalmente altra gente o ridicolizzare le sante personalità apporta sofferenza all’anima, mentre esortare al bene e alla pietà conduce alla beatitudine. I musulmani ritengono che tramite il Corano Iddio comunichi con l’uomo con frasi e parole e dunque queste stesse frasi e parole hanno un determinato effetto sulle menti, i cuori e le anime delle persone. Più vengono lette, e più la fede accresce nel fedele: “E quando vengono recitati i Suoi passi, la fede accresce in loro” (8:2).

Degno di nota è il fatto che il Corano, a differenza degli studiosi, non enfatizza il termine i’jaz o mu’jizah per indicare un miracolo, ma utilizza il termine “segno” (ayah). Chiamandolo segno, il miracolo perde il senso di tensione o opposizione e le anime vengono chiamate a “librarsi” nei domini della fede con una forza di attrazione piuttosto che con una “arida prova”.

L'ipotesi della sarfa

“Al-Sarfa”, letteralmente “volta, allontanamento”, è un termine utilizzato nelle discussioni teologiche riguardanti l’inimitabilità del Corano. Si tratta di una tesi sostenuta da alcuni studiosi ma che non ha trovato molto seguito, trovandosi nella gran parte dei casi in minoranza rispetto alle altre opinioni vigenti. Secondo questa teoria Dio avrebbe reso l’uomo incapace di poter produrre qualcosa di simile al Corano. Tale atto divino è quanto viene definito sarfah. Senza di esso l’uomo sarebbe in grado di produrre frasi, capitoli ed opere simili al Corano. Sostenitori della suddetta tesi furono Abu Ishaq al-Nazzam (d. 231 H.), il suo studente al-Jahiz (d. 255 H.) e Sharif al-Murtada (d. 436 H.).

Una prova presentata a sostegno della sarfa è il seguente passo coranico: “Allontanerò dai Miei segni coloro che, senza verità, sono arroganti sulla terra” (7:146). La maggioranza degli esegeti ha interpretato questo versetto in relazione a coloro che provano avversità nei confronti dei segni divini e non alla sarfah. La protezione in questo caso sarebbe da riferirsi al fatto che il Corano presenta la verità in modo chiaro ed innegabile, preservata da ogni tentativo di distorsione.

I sostenitori della sarfah ritengono che l’uomo, per sua natura, sia effettivamente capace di produrre qualcosa di simile al Corano ma che Dio gli abbia bloccato questa abilità ogni volta che cerca di farlo.

In un certo senso la tesi della sarfa spoglia il Corano della sua natura miracolosa in quanto il vero miracolo è un fattore esterno ad esso (la sarfah appunto). Da un lato, dunque, il Corano afferma che uomini e jinn non possono produrre niente di similead esso ma dall’altro sarebbe la sarfah ad essere il miracolo e non la rivelazione stessa.

E sia lode a Dio, Signore dei mondi.

  • 1. Suyuti, al-Itqan, vol. 2, p. 87; Zarkashi, al-Burhan, vol. 2, p. 157
  • 2. Si noti a tal riguardo che secondo l’opinione classica il termine “Torah” deriva dall’ebraico con il significato di “insegnamento” mentre “Vangelo” dal greco avente il significato di “lieta novella”.
  • 3. Vedesi: Zanjani, Manahil al-Irfan, vol. 1, p. 15.
  • 4. Tabrisi, Majma’ al-Bayan, vol. 10, p. 406.
  • 5. Majlisi, Bihar al-Anwar, vol. 92, p. 309.
  • 6. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 212.
  • 7. Abu al-Futuh al-Razi, Rawda al-Jinan, vol. 1, p. 9.
  • 8. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 90.
  • 9. Si noti la differenza tra “manoscritto del Corano” e “Corano stesso”. Non ci sono dubbi che la basmala sia presente nelle copie e nei manoscritti antichi del Corano. Gli esegeti classici comunque divergono sul fatto che questa sia o meno parte della rivelazione di Dio al Suo Profeta Muhammad.
  • 10. Isfahani, al-Mufradat fi gharib al-Qur’an.
  • 11. Ibn al-Faris, Mu’jam maqays al-lugha, voce inerente alla radice morfologica “waw-ha-ya”.
  • 12. Tabaqat Ibn Sa’d, vol. 1, p. 131.
  • 13. al-Majlisi, Bihar al-Anwar, vol. 18, p. 256.
  • 14. al-Majlisi, Bihar al-Anwar, vol. 18, 261.
  • 15. al-‘Amili, Wasa’il al-Shi’a, vol. 7, p. 130.
  • 16. al-Ya’qubi, al-Tarikh, vol.2, p. 17.
  • 17. Abu al-Fida, al-Tarikh, vol. 1, p. 115.
  • 18. Qutb, Fi Zilal al-Qur’an, vol. 2, p. 79.
  • 19. Kulayni, al-Kafi, vol. 2, p, 269.
  • 20. Saduq, al-I’tiqadat, p. 101.
  • 21. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, pp. 116-117.
  • 22. Bukhari, Sahih, vol. 1, pp. 3-4; Muslim, Sahih, vol. 1, pp. 98-99; Tabari, al-Tarikh, vol. 2, pp. 298-300.
  • 23. Azami, History of Qur’anic Text, p. 62.
  • 24. Bukhari, Sahih, vol. 6, p. 545.
  • 25. Muslim, Sahih, vol. 4, p.174.
  • 26. Ibn Sa’d, al-Tabaqat, vol. 8, p. 89.
  • 27. Kulayni, al-Kafi, vo. 2, p. 639.
  • 28. Khu’i, al-Bayan, p. 274.
  • 29. Muslim, Sahih, vol. 3, p. 399.
  • 30. Muslim, Sahih, vol. 3, p. 501.
  • 31. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 99.
  • 32. Si tratta della battaglia contro il falso profeta Musaylama nell’anno 11 dell’Egira in cui 960 musulmani persero la vita (vedesi Tarikh al-Tabari, vol.  2, p. 516).
  • 33. al-Bukhari, Sahih, vol. 9, hadith 301.
  • 34. Dr. Ramyar, Tarikh-e-Qur’an, p. 337 (citando Ibn Athir).
  • 35. Bukhari, Sahih, vol. 6, hadith 510.
  • 36. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 197.
  • 37. Suyuti, al-Itqan, p. 138.
  • 38. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 188.
  • 39. al-Quran fil-Islam, p. 15.
  • 40. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 219.
  • 41. Zamakhshari, al-Kashaf, vol, 2, p. 142.
  • 42. al-Bukhari, Sahih, vol. 8, hadith 816.
  • 43. al-Bukhari, Sahih, vol. 8, hadith 817.
  • 44. Muslim, Sahih, vol. 8, h. 2586.
  • 45. Muslim, Sahih, vol. 8, h. 3421.
  • 46. Kulayni, al-Kafi, vol. 1, p. 498.
  • 47. Kulayni, al-Kafi, vol. 2, p. 456.
  • 48. Tabatabai, al-Mizan, vol. 2, p. 260.
  • 49. Il primo versetto rivelato afferma che Dio abbia sancito l’obbligo di fare una donazione prima di incontrarsi con il Profeta. Al che solo Ali lo fece mentre gli altri compagni non richiesero più alcun incontro privato col Profeta. Al che venne rivelato il secondo versetto che esonera i credenti dall’obbligo di donare la sadaqa prima di incontrarsi privatamente col Profeta.
  • 50. Ad essi alcuni studiosi ne hanno aggiunti tre per un totale di “dieci recitatori” includendo così tra le modalità di recitazione più diffuse anche quella di Ya’qub, Abu Ja’far e Khalaf.
  • 51. Al-Khu’i, al-Bayan, p. 94: al-Zanjani, Tarikh al-Qur’an, p. 81.
  • 52. Ibn Mujahid, Kitab al-Qira’at, p. 87.
  • 53. Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 130.
  • 54. Bukhari, Sahih, vol. 6, p. 482 and vol. 3, p. 90; Muslim, Sahih, vol. 2, p. 202; Tirmidhi, Jami’, vol. 4, p. 263.
  • 55. Tabari, Tafsir, vol. 1, pp. 48-50.
  • 56. Qurtubi, Tafsir, vol. 1, p. 42.
  • 57. Tabari, Tafsir, vol. 1, p. 68.
  • 58. Kulayni, al-Kafi, vol. 2, p. 64.