05. Introduzione alla scienza degli hadith

 

LA SCIENZA DEGLI HADITH

Un hadith, nel linguaggio tecnico, è una narrazione che riporti un detto, un’azione o una silente approvazione del Profeta Muhammad. In ambito sunnita vengono spesso incluse le narrazioni dei compagni del Profeta e in quello sciita le narrazioni degli Imam. Con il termine athar si intende ogni tipo di narrazione, mentre khabar viene applicato sia agli hadith che agli athar. Una riwayah è invece una narrazione che è stata trasmessa con o senza catena di trasmissione.

Lo scopo principale degli hadith è quello di voler identificare la sunna del Profeta. Per “sunna” viene intesa la tradizione (sacra consuetudine) del Profeta manifesta per mezzo delle sue parole, azioni e tacito assenso. La distinzione tra sunna e hadith venne presto a meno dopo che l’Imam Shafi’i insistette sul fatto che ogni sunna dovesse essere corroborata con un valido hadith. Di fatto i due rimangono comunque concetti distinti.

La sunna viene comunemente accettata come seconda fonte di legislazione, dopo il Corano, per stabilire la prassi religiosa, come importante fattore interpretativo delle ingiunzioni del Corano e in quanto fonte dell’insegnamento morale, sociale e spirituale. A volte con questo termine vengono intese anche alcune preghiere rituali supererogatorie o abitudini del Profeta non ufficialmente canonizzate.

La prima generazione di musulmani al tempo del Profeta è nota come la “generazione dei compagni”. I compagni vengono generalmente definiti come coloro che furono al fianco del Profeta, lo videro fisicamente e credetto pubblicamente in lui. Questa generazione fu la prima ad aver trasmesso hadith per via orale e scritturale. Inizialmente i compagni appresero la sunna direttamente dal Profeta ma ben presto la maestria nella scienza degli hadith divenne ottenibile attraverso i viaggi nei centri di erudizione laddove si svilupparono i metodi di insegnamento formali.

I principali modi di trasmissione degli hadith erano i seguenti:

  1. Sama’: la lettura degli hadith del maestro allo studente.
  2. ‘Ard o Qira’ah: la lettura degli hadith dello studente al maestro.
  3. Ijazah: il permesso ricevuto da un maestro di trasmettere determinati hadith.
  4. Munawalah: la consegna di un testo di hadith dal maestro allo studente per poterlo riportare e trasmettere.
  5. Kitabah: scrivere un hadith per qualcuno.
  6. I’lam: informare uno studente di aver il permesso di riportare certi hadith.
  7. Wasiyyah: affidare i propri libri a qualcuno.
  8. Wijadah: reperire un hadith da un determinato libro.

Nonostante la recalcitranza da parte di alcuni compagni, o la loro estrema scrupolosità, di fatto sin dalle origini si ebbero i primi sahifah ossia raccolte scritte di hadith. Abdullah Ibn Amr redasse al-Sahifah al-Sadiqah che venne poi in possesso di Mujahid e, in seguito, di Amr Ibn Shu’ayb (un nipote di Abdullah). Altri sahifa risalgono a Samura Ibn Jundab, Anas Ibn Malik, Ibn Abbas e Jabir Ibn Abdullah. Abu Hurayra, altro noto compagno, iniziò a scrivere hadith verso la fine del periodo profetico. Il sahifa di Hammam  basato sulle narrazioni di Abu Hurayra è ben noto tra gli esperti in materia di hadith. Il Kitab Ali, il libro di Ali, viene descritto come uno dei più importanti testi di hadith profetici redatti nel primo periodo islamico. In seguito diversi narratori ne citeranno varie parti; ciò a testimonianza della sua portata in seno ai vari ambienti di erudizione.

Nonostante ciò, da vari documenti si evince la proibizione di riportare hadith per iscritto promulgata da alcuni compagni. Ciò avvenne presumibilmente al fine di concentrarsi sulla raccolta e sul messaggio del Corano piuttosto che altro materiale di dubbia provenienza. Si riporta che il secondo califfo Umar Ibn al-Khattab fece imprigionare Abu Masud, Abu Darda’ e Abu Masud al-Ansari per aver trasmesso troppe narrazioni.

La messa al bando degli hadith venne sollevata per la prima volta dal califfo Umar Ibn Abdul-Aziz (99-101 H.). In questo periodo iniziarono le prime attività sulla trasmissione ufficiale degli hadith. Traccie di tale evento storico si riscontrano nel Muwatta dell’Imam Malik, nel Sahih di Bukhari e nel Tabaqat di Ibn Sad’. Khatib al-Baghdadi nell’opera Taqiyd al-Ilm discute in dettaglio la questione della proibizione degli hadith nell’immediato periodo post-profetico. La prima parte dell’opera riguarda prevalentemente la disapprovazione del profeta di riportare hadith secondo quanto trasmesso compagni quali Abu Sa’id al-Khudri, Abu Hurayra e Zayd Ibn Thabit.

Alcuni studiosi hanno argomentato che il comando di “non riportare hadith ma solo il Corano” venne espresso in un periodo in cui il Corano non era ancora stato canonizzato e quindi i musulmani dovettero concentrarsi su di esso affinche non andasse perduto ed onde preservarlo e non dimenticarlo.

Di fatto il Profeta Muhammad fece scrivere  centinaia di lettere che fece mandare ai vari governanti arabi, bizantini e persiani. Il Corano stesso esorta i fedeli a mettere per iscritto gli accordi commerciali.

Ibn Qutayba nell’opera Ta’wil mukhtalaf al-hadith ritiene che le narrazioni proibitive appartengano al primo periodo profetico ma vennero poi abrogate in un secondo periodo. Egli afferma inoltre che un’altra spiegazione alternativa potrebbe essere inerente al fatto che la proibizione fosse indirizzata a quei compagni non sufficientemente esperti nell’arte dello scrivere ma non a coloro che erano in grado di farlo.

Dopo l’era dei compagni giunge quella dei loro studenti: i tabi’un. I tabi’un, a loro volta, attrassero molti altri studenti, in ispecie nelle grandi città che divennero presto veri e propri centri di insegnamento. Si diffuse così la pratica di trasmettere le narrazioni profetiche su autorità dei compagni.

Al-Hakim suddivide i tabi’un in quindici categorie, Ibn Sa’d in nove, ma la gran parte degli studiosi cita prevalentemente tre categorie: gli studenti dei compagni che accettarono l’Islam prima della conquista di Mecca, gli studenti dei compagni che accettarono l’Islam dopo la conquista di Mecca e gli studenti dei compagni che non erano ancora adulti al momento della dipartita del Profeta. Gli studenti dei tabi’un sono noti come “studenti degli studenti” o, più precisamente, “successori dei successori” (atba’ al-tabi’in).

Si racconta che Ibn Shihab al-Zuhri (d. 124 H.) “spese soldi come se fossero acqua” al fine di diffondere la conoscenza degli hadith. Nella stessa guisa molte note personalità scelsero una vita austera onde poter spendere la gran parte di ciò che avevano nella diffusione degli hadith.

Al contempo però sorse anche il problema dell’autenticità delle narrazioni. L’esistenza di fabbricazioni nel corpus delle opere di hadith è evidente nonché un fatto accettato comunemente dagli studiosi. Non è facile identificare il periodo in cui sorsero le prime fabbricazioni ma molto probabilmente risale all’epoca del Profeta stesso. Nonostante ciò, si assiste anche all’emergere di un gruppo di studiosi onesti effettivamente impegnati nel determinare e diffondere i detti del Profeta. Tra i tabi’un si può citare Ibn Abi Layla (d. 83 H.), Raja’ Ibn Hayawayh (d. 112 H.), Muhammad Ibn Sirin (d. 115 H.), Abu Zinad (d. 132 H.) e Yahya Ibn Sa’id (d. 142 H.). Nel tentativo di ostacolare le fabbricazioni Tawus Ibn Kaysan esortò i suoi studenti ad apprendere gli hadith solo da persone religiose o da chi praticasse la pietà.

Tra le figure di spicco a Medina vi fu Malik Ibn Anas (d. 179 H.) a cui fece seguito uno dei suoi più brillanti studenti: Muhammad Ibn Idris al-Shafi’i (d. 204 H.).

Altro fattore determinante fu l’importanza della rihlah ossia la prassi di viaggiare alla ricerca della conoscenza. Gli stessi compagni si dedicarono al viaggio onde apprendere nuovi hadith, rinfrescarsi la memoria e per insegnare. Per esempio Abu Ayyub si spostò da Medina all’Egitto, Jabir Ibn Abdullah viaggiò un mese intero al fine  udire un solo hadith da Abdullah Ibn Unays e altre personalità si trasferirono a Damasco per frequentare le lezioni di Abu Darda’. La pratica del viaggio fu sin dai primi tempi considerata un elemento fondamentale per l’ottenimento della conoscenza degli hadith. Abu Ishaq al-Sabi’i (d. 126 H.) apprese gli hadith da quattrocento maestri, Abdullah Ibn Mubarak (d. 181 H.) da millecento, Malik Ibn Anas da novecento, Hisham Ibn Abdullah da millesettecento, Abu Nu’aym da ottocento, Ibn Asakir da milletrecento, eccetera. Al-Zuhri godette della compagnia di Sa’id Ibn Musayyab per dieci anni e Thabit Ibn Aslam studiò hadith sotto alla tutela dell’Imam Malik per quaranta anni.

Storicamente nessuna opera ufficiale fu pubblicata prima della seconda metà del secondo secolo. Questo perchè gli ommaiadi reinforzarono il bando degli hadith iniziato dopo la dipartita del Profeta. Gli abbassidi invece mantennero un’attitudine differente e diffusero raccolte di hadith e sulla varie branche scientifiche in generale. Durante il califfato di Abu Jafar al-Mansur (d. 158 H.) si assiste alla proliferazione di raccolte di hadith come le opere di Ibn Jurayj (d. 151 H.) a Mecca, Hammad Ibn Salama (d. 167 H.) e Sa’id Ibn Aruba (d. 156 H.) a Basra, al-Awza’i (d. 157 H.) in Siria, Malik Ibn Anas (d. 179 H.) e Muhammad Ibn Abdul-Rahman (d. 159 H.) a Medina, Sufyan al-Tahwri (d. 161 H.) e Zayd Ibn Qudama (d. 160 H.) a Kufa. Inoltre Ibn Ishaq (d. 151 H.) scrisse il Kitab al-Maghazi.

 

LA RACCOLTA DEGLI ANTECEDENTE AGLI AL-SIHAH AL-SITTAH

Le opere di hadith risalenti ai primi due secoli possono essere suddivise in due categorie:

  1. Opere contenenti solo gli hadith del Profeta.
  2. Opere contenenti hadith del Profeta, decisioni legali dei primi quattro califfi, dei Compagni e dei tabi’un.

Dopo la prima metà del primo secolo iniziarono a circolare testi riguardanti varie problematiche giuridiche come quelle inerenti al matrimonio, al divorzio o all’eredità. In questo periodo ogni trattato include generalmente un singolo argomento. Nel secondo secolo iniziarono a comparire scritti contenenti tutte le varie tematiche giuridiche. Il Muwatta dell’Imam Malik viene incluso in quest’ultima categoria. Dalla fine del secondo secolo le raccolte iniziarono ad essere sempre più incentrate sugli hadith del Profeta e minore attenzione fu riposta nei confronti delle opinioni dei Compagni e dei loro studenti. Le narrazioni vennero così raccolte secondo determinati criteri dando vita a differenti tipologie di trattati elencati qui di seguito:

– Musannaf: opera la cui struttura si basa sugli argomenti presentati negli hadith.

– Musnad: opera la cui struttura si basa sui narratori degli hadith.

– Jami’: opera includente otto argomenti ossia dottrina, legge, pietà, morale, esegesi, storia, sedizione della fine dei tempi, meriti e demeriti delle persone.

– Sahih: opera includente hadith autenticati dall’autore.

– Sunan: opera incentrata sugli aspetti pratici e legali.

– Mustadrak: opera basata su un criterio utilizzato in un’opera precedente e sulle condizioni poste dal suo autore nella trasmissione degli hadith.

– Mustakhraj: opera che cita gli hadith citati in un’altra opera ma con altre, spesso preferibili, catene di trasmissione.

Il Muwatta dell'Imam Malik

Malik Ibn Anas Ibn Malik Ibn Abu Amir al-Asbahi nacque probabilmente nell’anno 93 H. a Medina anche se alcune fonti indicano la sua nascita tra il 91 e 97 H.. Suo nonno fu un tabi’ e suo bisnonno viene annoverato tra i Compagni del Profeta. A differenza di molti suoi contemporanei, non viaggiò fuori dalla sua città natale e apprese la conoscenza nell’ambiente di Medina.

Il califfo Abu Jafar al-Mansur gli chiese di scrivere un trattato di leggi pratiche da poter diffondere nelle aree musulmane. Il califfo lo persuase ad evitare le fatwa singolari di Ibn Abbas, quelle difficili di Ibn Umar e quelle troppo semplici di Ibn Masud. Questi fece circolare una circolare nella quale si dichiarava che nessuno aveva il diritto di enunciare pubblicamente una fatwa contraria a quella di Malik fintanto si trovasse a Medina. In generale le relazioni di Malik con l’autorità politica del tempo furono amichevoli. Quando gli fu chiesto al riguardo rispose dicendo che guidare ed esortare al bene i governanti è il dovere di ogni dotto. Solo una volta si assiste ad un episodio controverso quando Jafar Ibn Sulayman, governatore di Medina, forzò le genti a giurare fedeltà al califfo. L’Imam Malik emise una fatwa dicendo che tale giuramento non aveva alcun valore in quanto compiuto sotto coercizione. Per questo motivo venne arrestato, imprigionato e flagellato pubblicamente.

Secondo Ibn Hamz due scuole giuridiche vennero promosse nel primo periodo abbasside: quella malikita e quella hanafita (quest’ultima grazie al coinvolgimento di Abu Yusuf nell’ambiente califfale). L’Imam Malik non era particolarmente incline ad Ali e tale posizione faceva molto probabilmente comodo agli apparati califfali del tempo. Egli infatti considerava il rango di Abu Bakr, Umar e Uthman in sequenza di importanza mentre Ali era semplicemente “uno dei Compagni”. Altro fattore degno di considerazione è che nonostante visse a Medina, nel Muwatta cita solo nove narrazioni da Jafar al-Sadiq. Egli è il primo a tramsettere l’hadith thaqalayn con l’espressione Kitabullah wa sunnati invece di Kitabullah wa itrati.

Al-Muwatta significa “sentiero spianato” o, nel presente caso, “testo unanime” in quanto settanta eruditi di Medina ne condivisero i contenuti e le opinioni.

La metodologia utilizzata da Malik fu quella di riportare gli hadith, seguiti dall’opinione sostenuta dai Compagni e dalla gente di Medina, e poi pronunciarsi con una sua fatwa. In generale ha prediletto l’opinione della gente di Medina nei confronti delle singole narrazioni.

Alcuni studiosi come Ibn Athir e Ibn Abd al-Birr preferiscono al-Muwatta invece che il Sunan Ibn Maja come parte dei al-sihah al-sittah. L’Imam Shafi’i riteneva che il Muwatta fosse il testo religioso più affidabile dopo il Corano.

L’Imam Malik selezionò diecimila hadith tra centomila a disposizione. Poi continuò a revisionare la sua opera fino a che non rimasero che cinquecento narrazioni. Secondo Ibn Farun al-Maliki “se Malik fosse vissuto qualche anno in più avrebbe omesso tutte le narrazioni”. Per questa ragione riscontriamo svariate versioni del Muwatta: Abu Rayyah afferma ve ne siano trenta, al-Suyuti ne cita soltanto quattordici. Al-Daraqtuni scrisse un’intera opera intitolata Ikhtilaf al-Muwattat (le varie versioni del Muwatta). La versione più famosa contiene 1.720 hadith: 600 marfu’ (che risalgono al Profeta), 222 mursal (con una catena di trasmissione incompleta), 613 mawquf (che risalgono a un Compagno) e 285 maqtu’ (che risalgono a un tabi’).

I musnad

Tra i tipi di raccolte di hadith più antichi viene annoverato quello dei musnad. A volte i musnad attribuiti a certe autorità sono stati compilati da terzi come quelli di Abu Hanifa, al-Shafi’i e Umar Ibn Abdul-Aziz sui quali non abbiamo informazioni certe sul fatto che abbiano mai compiato un musnad. Per esempio il “musnad di Abu Hanifa” fu redatto da Abu al-Mu’ayyad Muhammad Ibn Mahmud al-Khwarizmi (d. 665 H.), il “musnad di Shafi’i” da Muhammad Ibn Ya’qub al-Asamm (d. 246 H.) sulla base del Kitab al-Umm e il “musnad di Umar Ibn Abdul-Aziz” da al-Baghandi (d. 282 H.). Neanche il musnad di al-Tayalisi, considerato il musnad integrale più antico ancora in circolazione, non fu compilato dal al-Tayalisi stesso ma da un suo studente di nome Yunus Ibn Habib o, secondo altri studiosi, da alcuni suoi studenti.

Abu Sulayman Ibn Dawud Ibn Jarud al-Tayalisi, a cui viene attribuito il musnad, fu comunque un noto erudito persiano la cui autorità in materia di hadith venne accettata da Ahmad Ibn Hanbal e Ali Ibn al-Mada’ini. L’opera a lui attribuita contiene 2.767 hadith riportate su autorità di duecentottantuno Compagni e strutturato tenendo conto prima degli hadith riportati dai quattro califfi, poi – in ordine – da chi combatté a Badr, dai muhajirun, dagli ansar, dalle donne e infine dai Compagni più giovani.

Comunque sia, le catene di trasmissione ivi riportate sono in genere complete. In alcuni casi quando ci sono dubbi sull’identificazione di un narratore (perché avente lo stesso nome di altri), l’autore si sforza di provarne o confutarne l’identità.

Il musnad più famoso è quello redatto Ahmad Ibn Hanbal, nato a Bagdad nell’anno 164 H. e morto nel 241 H.. Egli iniziò lo studio degli hadith a quindici anni e viaggiò a Basra, Kufa, nello Yemen, in Hijaz e compiette l’hajj per cinque volte. Ritornò a Bagdad nell’anno 195 H. e studiò sotto alla tutela dell’Imam Shafi’i. Ebbe molti studenti ed insegnò liberamente fino al periodo della mihna, la persecuzione promossa dal califfo al-Ma’mun a sostegno delle tesi mutazilite. Ibn Hanbal venne messo in catene, imprigionato e torturato ma mai si pronunciò a favore della tesi sostenente la creazione del Corano. Tale situazione si protrasse fino al periodo del califfo al-Mutawakkil che lo invitò per insegnare presso la corte ma questi rifiutò per motivi di età e di salute. La sua resistenza contro l’inquisizione di Ma’mun e dei suoi successori creò un alone di santità intorno alla sua figura che indurrà infine all’unificazione e ufficializzazione della Ahl al-Sunna wa al-Jama’ah.

Ibn Hanbal cercò di raccogliere quanti più hadith profetici autentici possibili ma non affermò mai che l’intero contenuto del suo musnad fosse autentico. Rimase però un’importante fonte per autori successivi, come Ibn Athir che ne fa uso per il suo dizionario biografico Usd al-Ghabah e al-Suyuti che lo utilizza come fonte in linguistica e grammatica. Con il passare del tempo diminuì la sua popolarità sia a causa della sua voluminosità che per la sua inconveniente struttura la quale apporta notevoli difficoltà per chi voglia reperire hadith su un dato argomento (trattandosi di un’opera basata sui narratori piuttosto che sugli argomenti).

Altri musnad di rilievo sono quelli di Abdul-Hamid Ibn Humayd (d. 249 H.), Ibn Abi Shayba (d. 232 H.), Ishaq Ibn Rahawayh (d. 238 H.), al-Humaydi (d. 219 H.) e Abu Ya’la (d. 307 H.).

I musannaf

musannaf sono quelle opere la cui struttura si basa sull’ordine degli argomenti. Tale fu il criterio utilizzato dagli autori dei al-sihah al-sittah. Purtroppo non c’è traccia dei musannaf più antichi: il musannaf di Waki’, per esempio, è conosciuto solo per mezzo delle citazioni in opere più tarde. Il musannaf più antico in circolazione è quello di Abdul-Razzaq Ibn Humam al-San’ani (d. 211 H.). Si racconta che sin dal tempo del Profeta, nessun erudito viaggiò in numero così elevato se non per visitare Abdul-Razzaq. Gli studiosi divergono sugli hadith che ha riportato: alcuni li ritengono più affidabili, altri meno. Ibn Nadim cita il suo Kitab al-Sunan che corrisponde di fatto al suo musannaf. Questo probabilmente perchè il testo è suddiviso in base ad argomenti legali.

Il musannaf di Ibn Abi Shayba (d. 235 H.) è sicuramente più completo ed esauriente di quello di Abdul-Razzaq. Prevalentemente situato a Kufa, trasmise varie tradizioni ad Abu Za’ra, Bukhari, Muslim ed Ahmad Ibn Hanbal.

Una differenza tra primi musannaf e quelli più tardi è che questi ultimi si concentrano di più sui detti del Profeta mentre i primi includono maggiormente quelli dei Compagni e tabi’un. Non si tratta però di una distinzione riscontrabile in ogni caso.

 

AL-SIHAH AL-SITTAH

Secondo l'opinione prevalente sono sei i libri di hadith che sono stati accettati come i “più autentici”. Tra essi il Sahih al-Bukhari e il Sahih Muslim sono stati considerati secondi solo al Corano. Tale classificazione è decisamente maggioritaria in ambito sunnita anche se è stata criticata da una minoranza di studiosi. Per esempio sia Bukhari che Muslim non furono apprezzati a Nishapur ed uno dei loro insegnanti, Ibn Yahya al-Dhuhali, li biasimò per aver creduto nella creazione del Corano. Al-Nawawi (d. 676 H.) e Ibn Khaldun (d. 808) non considerarono il Sunan Ibn Majah come parte dei al-Sihah al-Sittah ed approvarono solo cinque libri.

Il Sahih di al-Bukhari

Abu Abdullah Muhammad Ibn Ismail al-Bukhari (d. 256 H.) iniziò a studiare hadith sin da giovane e viaggiò a Balkh, Merv, Hijaz, Nishapur, Basra, Kufa e Egitto dove si incontrò con più di mille maestri e raccolse migliaia di hadith.

Il suo Sahih venne apprezzato da Yahya Ibn Ma’in e Ahmad Ibn Hanbal anche se questi non accettarono come autentiche tutte le narrazioni in esso raccolte (Ahmad Ibn Hanbal ne invalidò soltanto quattro). Al-Bukhari scrisse la sua opera su suggerimento di Ishaq Ibn Rahawayh. In un lasso di tempo di sedici anni e dopo aver selezionato le sue 7.275 narrazioni da 600.000 hadith terminò il suo lavoro. Al-Suyuti nell’opera Tadrib al-Rawi afferma che al-Bukhari venne infastidito da alcuni apparati del governo Abbaside.

Al-Bukhari pone due condizioni per l’accettazione degli hadith: avere una catena di trasmissione continua risalente al Profeta e trasmettere gli hadith da persone affidabili. Nonostante ciò Ibn Hajar afferma che Bukhari non abbia osservato a pieno le sue condizioni in quanto nella sua opera si riscontrano hadith mawquf (narrazione che risale ad un Compagno del Profeta e non al Profeta stesso) e mu’allaq (narrazione nella cui catena di trasmissione vengono omessi uno o più narratori). Alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che nel Sahih al-Bukhari vi siano 1.725 narrazioni mu’allaq. Al-Daraqtuni invece ha criticato diverse narrazioni del Bukhari affermando che almeno ottanta di esse siano da considerarsi affidabili dopo un attento scrutinio. Il Sahih Muslim invece presenterebbe centosessanta narrazioni aventi lo stesso problema. Sempre al-Daraqtuni cerca di dimostrare l’inaffidabilità di duecento tradizioni di Bukhari nell’opera al-Istidrak wa al-tatabbu. Altri critici di Bukhari furono Abu Masud di Damasco e Abu Ali al.Ghassani citati nell’opera al-Minhaj fi sharh Sahih Muslim Ibn Hajjaj di al-Nawawi.

Al-Bukhari criticò Abu Hanifa probabilmente sotto influenza di un suo maestro, Abdullah Ibn Zubayr al-Humaydi (autore del Musnad al-Humaydi), il quale si riferiva ad Abu Hanifa con l’appellativo “Abu Jifah”.

Il Sahih di Muslim

Anche Abu al-Husayn Asakir al-Din Muslim Ibn Hajjaj Ibn Muslim al-Qushayri al-Nishapuri (d. 261 h.) fu autore di un Sahih che venne considerato positivamente in molti circoli di erudizione musulmani. L’autore raccolse 3.000-4.000 hadith (senza includere le ripetizioni) che selezionò da un corpus di 300.000 narrazioni. L’opera include un’introduzione dove l’autore presenta il suo criterio di accettazione degli hadith. Egli divide le narrazioni in tre tipologie: quelle trasmesse da narratori affidabili ed eccellenti le cui narrazioni non differiscono molto da altri narratori affidabili ed eccellenti e non mostrano alcuna ambiguità nelle loro trasmissioni, quelli che non sono noti per esser stati dotati di una memoria speciale o la cui eccellenza non è stata stabilita, e infine quelli la cui affidabilità non è stata dimostrata. Muslim afferma che il primo gruppo di narratori è quello da cui riporta hadith nella gran parte della sua opera mentre il secondo serve solo come “sostegno” per gli hadith riportati dal primo gruppo. Infine gli hadith riportati dal terzo gruppo non vengono accettati e dunque non vengono tenuti in considerazione nella compilazione del Sahih.

Muslim è più rigido di Bukhari nei principi degli hadith: per esempio ripone l’enfasi sulla differenza tra “akhbarana” e “haddathana”. Il primo modo di trasmissione implica la lettura dell’hadith del maestro allo studente mentre il secondo modo quella dello studente al maestro. D’altra parte, è meno rigido di Bukhari nel verificare se due narratori si siano effettivamente incontrati di persona o meno.

Dopo aver redatto il suo Sahih, Muslim lo presentò ad Abu Za’ra per una valutazione, il quale gli indicò gli hadith che considerava inattendibili e che Muslim poi rimosse.

Muslim fu anche studente di Bukhari. Quando Bukhari giunse a Nishapur, Muslim frequentò assiduamente le sue lezioni così come frequentò quelle di al-Dhuhali. A causa di differenze teologiche, al-Dhuhali chiese ai suoi studenti di non frequentare più le lezioni di Bukhari. Dopo aver visto Muslim continuare a frequentarne le lezioni ribadì nuovamente il suo messaggio, al che Muslim gli consegnò i fogli con gli appunti scritti durante le sue lezioni ed abbandonò i suoi corsi preferendo Bukhari, nonostante si trovasse in minoranza.

Pare che sia diventato controverso criticare le opere di Bukhari e Muslim soltanto in epoca recente. Questo perché molti studiosi musulmani hanno ritenuto che proteggere lo status dei due sahih equivalesse a proteggere l’Islam in quanto simboli di una tradizione islamica attaccata dal modernismo. Non a caso altre opere “sahih” vennero redatte oltre a quelle di Bukhari e Muslim senza però ottenere lo stesso grado di popolarità.

Il Sunan di Abu Dawud

Abu Dawud Sulayman Ibn al-Ash’ath al-Sijistani (d. 275 H.) compilò il suo Sunan onde fornire un trattato legale sufficiente e comprensivo inerente alla prassi religiosa. Egli selezionò 4.800 hadith in un lasso di tempo di venti anni da un corpus di 500.000 narrazioni.

Il Sunan non include solo hadith sahih ma anche hadith più deboli. L’autore a volte cerca di spiegare gli hadith dubbi e le motivazioni che lo hanno spinto a riportarli. Fa affidamento su narrazioni criticate da altre autorità ma evita di riportare quelle considerate “estremamente deboli”. Ripone l’attenzione sulle molteplici varianti di una data narrazione e cerca di valutarne il contenuto in maniera oggettiva.

Abu Dawud spesso cita parti rilevanti di hadith presenti in altre opere: questo onde focalizzarsi sui temi legali e gli oggetti di discussione presenti nei vari capitoli. Il suo lavoro viene in genere considerato il Sunan più importante in quanto riporta hadith che altri non avevano riportato prima di lui.

L’autore afferma: “Ho chiarito quelle tradizioni presenti in questa mia opera che sono molto deboli. Quelle su cui non mi sono pronunciato sono da considerarsi autentiche nonostante alcune siano più autentiche di altre”. E dichiara anche: “Non conosco niente di più prezioso per le genti dopo il Corano che apprendere questo Sunan. Queste non avranno niente da temere se non ricercano nessuna conoscenza oltre queste”.

Il Jami' di al-Tirmidhi

L’opera di Abu Isa Muhammad Ibn Isa al-Tirmidhi (d. 279 H.) cerca di identificare nomi ed epiteti dei vari narratori e di giudicare la loro affidabilità. Oltre agli hadith sahih tiene in considerazione la categoria di hadith hasan, meno affidabili dei sahih ma non deboli. Egli definisce un hadith hasan come “un hadith i cui narratori non sono stati accusati di aver diffuso falsità ed il cui contenuto è stato riportato altrove e non sia contrario a quanto trasmesso da altri narratori affidabili”.

Nell’opera vengono definite anche altre tipologie di hadith come sahih hasanhasan e hasan gharib. In definitiva si tratta di un tentativo di inserire la terminologia della scienza degli hadith in un’opera di narrazioni.

Il Sunan di al-Nisa'i

Questo Sunan fu redatto da Abu Abdul-Rahman Ahmad Ibn Shu’ayb al-Nisa’i (d. 303 H.). Questi cercò di raccogliere hadith autentici o “potenzialmente autentici”. Successivamente raccolse quelli più autentici nell’opera al-Sunan al-Sughra o al-Mujtaba.

A differenza di Abu Dawud e Tirmidhi, Nisa’i non struttura la sua opera in base a problematiche specifiche ma si focalizza piuttosto sulle varie varianti delle catene di trasmissione e degli hadith. E’ noto per il suo spirito critico considerato più rigoroso di quello di Muslim.

Quando si trasferì a Damasco notò che, influenzate dalla passata propaganda Omayyade, le genti avevano posizioni erronee nei confronti di Ali Ibn Abi Talib e così scrisse un’opera sui suoi meriti intitolata Khasa’is Ali Ibn Abi Talib. Per questo motivo gli fu poi chiesto di scrivere un’opera sui meriti di Mu’awiya ma si rifiutò. Fu così che venne bistrattato e picchiato a morte.

Il Sunan di Ibn Majah

Il Sunan di Abu Abdullah Muhammad Ibn Yazid Ibn Majah (d. 273 H.) contiene circa 4.000 hadith. Venne presentato ad Abu Za’ra che ne apprezzò lo stile e la struttura ma disse anche che conteneva hadith deboli. Studiosi successivi hanno dichiarato che il numero di hadith deboli ivi contenuti ammonti ad un quarto dell’intera opera, specialmente nelle sezioni dedicate ai meriti degli individui, delle città e dei vari clan.

E’ considerato il più debole dei al-sihah al-sittah ed alcuni studiosi hanno preferito il Sunan di al-Darimi (d. 255 H.) considerandolo come “sesto libro” piuttosto che quello di Ibn Majah.

Sunto generale

In conclusione si può dire che ogni singola opera dei al-sihah al-sittah possiede delle peculiarità particolari. Al-Bukhari si fonda sulla conoscenza degli hadith mentre Muslim è superiore in termini di struttura e di come presenta le proprie tematiche. Al-Tirmidhi offre informazioni sui principi degli hadith e sulla loro metodologia e Abu Dawud si concentra di più sulle questioni legali. Ibn Majah è il testo più elegante nello stile e il più sofisticato nella terminologia e nei temi ed infine Nisa’i è quello che ha cercato di combinare un po’ tutte queste qualità.

 

LA RACCOLTA DI HADITH NELLE FONTI SCIITE

Nonostante nel corso della storia siano esistite varie ramificazioni sciite, le principali rimangono quella zaydita, quella ismailita e quella duodecimana. Tra le opere principali di hadith zaydite sono da annoverare il Musnad di Zayd Ibn Ali, il Sahifa di Ali Ibn Musa al-Rida, lo Amali di Ahmad Ibn Isa, il Jami’ al-Kafi di Muhammad Ibn Ali al-Alawi, lo Ahkam fi al-Halal wa al-Haram di Yahya Ibn Qasim al-Rassi, al-I'tibar di Husayn Ibn Isma'il al-Jurjani e gli Amali di Ahmad Ibn Husayn al-Haruni e Abu Talib al-Haruni. Il ramo ismailita si divise in nizariti, i quali abbandonarono presto le ingiunzioni legali, e i mustaliti che invece rimasero fedeli agli hadith dell’Imam al-Sadiq (d. 148 H.) riportati nel Da’aim al-Islam. La scuola più nota è però quella duodecimana che prenderemo in considerazione nelle righe seguenti.

La gran parte degli hadith sciiti risale all’Imam Jafar Ibn Muhammad al-Sadiq al quale sono state attribuite le seguenti parole: “I miei hadith sono gli hadith di mio padre, gli hadith di mio padre sono gli hadith di mio nonno, gli hadith di mio nonno sono gli hadith di Husayn, gli hadith di Husayn sono gli hadith di Hasan, gli hadith di Hasan sono gli hadith di Ali, gli hadith di Ali sono gli hadith del Profeta e gli hadith del Profeta sono la parola di Dio”.1

Hurr al-Amili, nell’epilogo dell’opera Wasa’il al-Shia, afferma che le principali raccolte sciite di hadith furono compilate tra il primo e il terzo secolo dell’Egira (ufficialmente il magistero pubblico degli Imam terminò nell’anno 260 H.) ed ammontano a circa 6.600 trattati. Ha dimostrato ciò ripercorrendo tutte le catene di trasmissione e gli indici analitici a cui aveva accesso. Ciò significa che in un lasso di tempo di circa due secoli gli sciiti scrissero migliaia di opere, particolarmente su autorità dell’Imam al-Sadiq.

Nonostante sia difficile rintracciare ogni singola opera, ci sono varie testimonianze degli Imam sciiti a sostegno di una diffusa pratica di riportare gli hadith. Ubayd Ibn Zurara riporta che l’Imam al-Sadiq disse: “Preservate i vostri libri, presto ne avrete bisogno”. Questo a testimonianza del fatto che già nella seconda metà del secondo secolo gli sciiti avevano redatto molte opere.

A causa della tensione politica del tempo queste opere non poterono circolare liberamente tra le masse e gli Imam esortano i loro discepoli a preservarli per le generazioni future. Mufaddal Ibn Umar riporta che l’Imam al-Sadiq gli consigliò di redigere libri di hadith e lasciarli in eredità ai propri figli poiché “giungerà un’era di confusione in cui le genti non potranno far altro che affidarsi ai loro libri”. Un altro hadith riporta che Abu Khalid disse all’Imam Jawad: “I nostri esperti hanno riportato hadith su autorità di Abu Jafar e Abu Abdullah ma la necessità di dissimulazione era tanta e nessun ha poi trasmesso da essi. Adesso li abbiamo nelle nostre mani”. L’Imam rispose dicendo: “Narra da essi, sono autentici”.

Tra i libri più antichi vengono annoverati quelli risalenti ad Ali Ibn Abi Talib come al-Jami’a, il Kitab Ali, il Sahifa al-Fara’id e il Sahifa al-Itq. A volte sono stati utilizzati anche altri termini in riferimento a queste opere come Sahifa e Kutub Ali. In genere il Kitab Ali viene descritto come uan pergamena lunga settanta cubiti.

Zurara (d. 150 H.) riporta di aver visto in prima persona il Sahifa al-Fara’id (un libro sull’eredità) dall’Imam Sadiq. La stessa opera venne mostrata a Muhammad Ibn Muslim (d. 150 H.). In diversi casi quando venivano chieste prove da studiosi non-sciiti come Ghyath Ibn Ibrahim, Sufyan Ibn Unayna, Yahya Ibn Sa’id e Talha Ibn Zayd al-Sakuni, veniva risposto citando il Kitab Ali.

Nelle fonti sunnite il Kitab Ali è stato citato da numerose personalità quali Abu Juhayfa al-Suwa’i (d. 74 H.), come riportato nel Sahih al-Bukhari, nel Sunan al-Nisa’i e nel Sunan al-Darimi, da Ibrahim Ibn Yazid al-Taymi (d. 93 H.), come riportato nel Sahih al-Bukhari e nel Sunan Abu Dawud, da Tariq Ibn Shihab (d. 83 H.), come riportato nel Musnad Ibn Hanbal, dall’ultimo Compagno a lasciare questo mondo, Abu Tufayl (d. dopo il 100 H.), da Hani lo schiavo emancipato di Ali, come riportato nel Mustadrak al-Sahihayn, da Abu Hasan al-A’raj (d. 130 H.), come riportato ancora nel Mustadrak al-Sahihayn, e da Hasan al-Basri (d. 110) come riportato nel Sunan al-Nisa’i e nel Mustadrak al-Sahihyan.

Se si sommano tutte le informazioni raccolte sul Sahifa di Ali come trasmesse dalle sette fonti citate si conclude che Ali avesse ricevuto una conoscenza particolare dal Profeta che altri Compagni non avevano: si fa allusione a questa conoscenza nel contenuto della gran parte di queste narrazioni, messe per iscritto in un sahifa talmente piccolo da poter essere inserito nel fodero della spada di Ali.

Qui si presentano però due problemi: uno inerente alle contraddizioni presenti in questi hadith riguardo al libro e ai suoi contenuti e l’altro riguardo al volume dell’opera che non corrisponderebbe alla versione ben nota lunga settanta cubiti.

Nelle fonti sciite Muhammad al-Saffar (d. 290 H.) nell’opera Basa’ir al-Darajat riporta su autorità dell’Imam al-Sadiq che il libro fosse con Ali, il quale lo affidò ad Umm Salma quando partì per l’Iraq. Dopo la dipartita di Ali il libro era in mano all’Imam Hasan, poi in quelle di Husayn, poi di Ali Ibn Husayn, poi di Muhammad al-Baqir ed infine di al-Sadiq.

Molti discepoli di Ali seguirono il suo esempio di riportare gli hadith profetici, come fecero i membri della famiglia di Abu Rafi’. Abu Rafi’ fu uno schiavo copto di Abbas, zio del Profeta Muhammad. Abbas lo donò a suo nipote ed il Profeta lo emancipò dopo aver ricevuto la notizia della conversione di Abbas. Salma, sua moglie, fu tra coloro che si presero cura di Fatima durante la sua ultima malattia ed aiutarono Ali nei riti funebri dopo la sua dipartita.

Dopo l’era di Ali, fu al fianco dell’Imam Hasan fino a riaccompagnarlo a Medina senza che avesse dimora in cui risedere. Fu così che Hasan gli concesse metà proprietà della casa di Ali.

Abu Rafi’, egiziano di origine, era un uomo assai colto e venne nominato tesoriere da Ali. I suoi due figli, Ali e Ubaydullah, furono scribi ufficiali del quarto califfo a Kufa.

In genere il nome di Abu Rafi’ nei dizionari biografici sciiti compare in relazione alla sua opera Kitab al-Sunan wa al-Ahkam wa al-Qadaya. Al-Najashi la riporta attraverso due diverse catene di trasmissione.

Ali figlio di Abu Rafi’, oltre ad essere stato scriba del quarto califfo, fu tra i più rinomati dotti sciiti della sua epoca in materie legali. Abdullah Ibn Hasan al-Muthanna, capo degli Hashemiti verso la metà del secondo secolo, fece spesso riferimento a questo testo nel rispondere ai quesiti giurisprudenziali. Anche il noto tabi’ Sa’id Ibn Musayyab lo cita.

Ubaydullah, l’altro figlio di Abu Rafi’ viene invece annoverato come il primo autore di un dizionario biografico. Questi compilò un libro di biografie dei Compagni del Profeta che seguirono Ali e combatterono al suo fianco durante le battaglie da lui sostenute. Il biografo Ibn Athir (d. 630 H.) ha fatto molto affidamento su questo testo nel suo magnum opus Usd al-Ghaba e lo indica con l’espressione “I nomi di chi rimase al fianco di Ali” (tasmiyah man shahada ma’a Ali). Il modo in cui si riferisce al libro lascia ben comprendere che lo avesse avuto tra le sue mani.

Zaynab, una figlia di Abu Rafi’ viene citata tra coloro che hanno riportato hadith su autorità del Profeta e sui meriti dell’Ahl al-Bayt.

Gli studiosi sciiti sono giunti ad un consenso riguardo 400 opere note come Usul Arbami’a (i 400 Usul). Usul è il plurale di Asl che significa semplicemente “fonte”. Un asl è una collezione di hadith riportata su autorità di un Imam da parte di un suo discepolo che ne ha trasmesso direttamente le parole o, al massimo, da un suo studente. Considerando il numero elevato di libri in circolazione (circa 6.600) sui detti attribuiti agli Imam, se ne deduce che gli studiosi sciiti possano esser stati alquanto meticolosi nell’averne scelti solo quattrocento. Di questi quattrocento Usul solo sedici sono sopravvissuti fino ai giorni nostri mentre degli altri non ne è rimasta traccia.

Al-Kutub al-Arba'

Dopo il periodo degli Usul si assiste a quello di raccolte più voluminose da parte di studiosi quali Muhammad Ibn Yaqub al-Kulayni (d. 329 H.), Muhammad Ibn Ali al-Saduq (d. 381) e Muhammad Ibn Hasan al-Tusi (d. 481 H.) i quali avevano accesso diretto ai famosi Usul attraverso i quali potevano basare l’autenticità narrazioni ricevute e trasmesse.

Particolarmente di rilievo sono quattro opere: al-Kafi di Kulayni, Man la yahduruhu al-Faqih di Shaykh Saduq, Tahdhib al-Ahkam e al-Istibsar di Shaykh Tusi. Eccezion fatta per al-Kafi, si tratta per lo più di opere contenenti narrazioni su questioni legali. Al-Kafi invece si suddivide in tre sezioni: Usul al-Kafi, inerente alla dottrina, Furu’ al-Kafi, inerenti alla prassi, e Rawda al-Kafi, inerenti ad altre questioni generali.

I Quattro Libri (Kutub al-Arba) vengono considerati i più attendibili in ambito sciita duodecimano in quanto i loro autori ne avrebbero attestato la loro autenticità. Comunque sia, rimangono sempre oggetto di scrutinio includendo chiaramente narrazioni deboli e varie fabbricazioni.

La gran parte delle narrazioni in materia di norme vennero in seguito raccolte da Hurr al-Amili (d. 1692) nella sua opera Wasa’il al-Shia mentre Allamah al-Majlisi (d. 1698) compilò il Bihar al-Anwar spaziando su vari argomenti. Sempre nello stesso periodo i Kutub al-Arba vennero commentati ampiamente grazie all’atmosfera favorevole per gli sciiti creatasi in epoca Safavide.    

 

MATN, ISNAD E AUTENTICAZIONE DEGLI HADITH

Un hadith è composto da due parti: il matn e l’isnad o sanad. Il matn, da matuna che porta con sé il significato dell’esser forte, è il testo e contenuto dell’hadith mentre per isnad, da sanada (letteralmente “sostenere”), si intende la catena di trasmissione. Prendiamo come esempio il seguente hadith:

Muhammad Ibn Abdullah, da Muhammad Ibn Jafar al-Razzaz, da suo zio Ali Ibn Muhammad, da Amr Ibn Uthman al-Khazzaz, da Nawfali, da Sakuni, da Jafar Ibn Muhammad, da suo padre, dai suo padri, dall’Inviato di Dio, ha detto: “Farsi visita accresce amore tra voi”.

Nell’hadith citato la parte in corsivo è l’isnad mentre l’altra è il matn.

 

Il matn

Secondo gran parte degli studiosi del periodo classico l’accettazione del matn dipende da alcuni fattori tra cui: la corroborazione con il Corano, la corroborazione con una sunna stabilita e la corroborazione con l’intelletto. Ogni studioso ha apportato diverse prove a favore delle proprie tesi e non necessariamente ha accettato tutte le condizioni menzionate. Per esempio c’è chi non ha accettato l’intelletto come fonte di comprensione religiosa o chi non ha condiviso la metodologia di interpretare gli hadith alla luce del Corano in quanto sarebbe il Corano a dover essere spiegato alla luce degli hadith. In linea generale, però, le tre condizioni sono state spesso quelle favorite.

Corroborazione con il Corano:

Si riporta che “i discendenti di rapporti illegittimi non entreranno in paradiso per sette generazioni”. Questo hadith è stato rifiutato da molti studiosi perché in contraddizione con con il passo coranico: “Nessun anima porterà con sé il fardello di un’altra” (6:164).

In vari hadith si esorta inoltre i musulmani a comparare le narrazioni al Corano: “Quando giunge a voi un hadith da parte mia, comparatelo con il Libro di Dio. Se concorda accettatelo, se discorda rifiutatelo” (riportato da al-Tabarani così come dagli Imam al-Baqir e al-Sadiq).

Corroborazione con una sunna stabilita:

E’ stato riportato il seguente hadith: “Chi compie le preghiere rituali durante l’ultimo venerdì di Ramadan ha recuperato tutte le preghiere che ha perso negli ultimi settanta anni”. Ciò però va contro il consenso degli studiosi secondo il quale le preghiere rituali mancate vanno tutte recuperate singolarmente.

Corroborazione con l’intelletto:

In questa categoria possiamo includere varie tipologie di hadith:

– “L’arca di Noè circoambulò la Ka’ba sette volte e pregò infine due unità di preghiera”. Questo hadith pare essere in conflitto con i canoni dell’intelletto a meno che non si faccia ricorso a qualche sorta di ta’wil.

– “Ho visto il mio Signore a Arafat mentre guidava un cammello rosso”. Questo hadith pare rinnegare la natura sublime di Dio a meno che non lo si interpreti facendo uso di metafore.

– “Il Profeta stabilì la jiziya per gli ebrei di Khaybar”. Questo hadith è difficilmente accettabile in quanto la jiziya venne stabilita più tardi, quando il narratore di questo hadith era già morto.

L’isnad

Per quanto concerne l’isnad si possono suddividere gli hadith in: mutawatir e ahad (o khabar al-wahid). Ogni hadith che non è mutawatir viene, di conseguenza, considerato khabar al-wahid.

Un hadith viene considerato mutawatir quando è stato riportato da un numero talmente elevato di catene di trasmissione che denoti certezza in quanto sarebbe impossibile per i narratori, dato il loro numero elevato e la loro variegata provenienza, aver concordato su una data menzogna e poi diffonderla. Ne consegue che un hadith mutawatir non richiede, in teoria, forme convenzionali di autenticazione.

Un hadith mutawatir può essere riportato letteralmente nelle varie versione (lughawi) o tramite lo stesso significato, riferito alla medesima vicenda, ma con diverse parole (ma’nawi). Non esiste comunque un numero preciso di catene di trasmissione che sia stato definito per un hadith mutawatir. Questo perché le prospettive variano a seconda dei diversi studiosi ed è possibile che uno di essi ritenga necessario un numero minimo di dieci catene di trasmissione mentre un altro cento; il criterio rimane soggettivo ed è la denotazione di certezza.

Un hadith che non viene considerato mutawatir è khabar al-wahid il quale si suddivide in: gharibaziz e mashhurGharib è un hadith riportato da una sola catena di trasmissione, aziz da due e mashhur da tre o più catene ma che non raggiunge il tawatur. In genere gli hadith gharib sono visti con sospetto mentre quelli aziz vengono prevalentemente accettati nonostante “non denotino certezza”. Questo perché le due catene di trasmissione possono essere verificate tramite una vicendevole corroborazione. A volte il termine mustafid viene utilizzato invece di mashhur ma possiede lo stesso significato.

Classificazione degli hadith

– Musnad: hadith la cui catena di trasmissione include la menzione esplicita di ogni narratore fino al Profeta.

– Mu’allaq: hadith in cui l’autore di un’opera riporta direttamente dal Profeta senza menzionare la catena di trasmissione.

– Mursal: hadith in cui la menzione del Compagno che riporta dal Profeta viene omessa.

– Munqati’: hadith la cui menzione del tabi’ (appartenente alla generazione che ha incontrato i Compagni del Profeta) o di altri trasmettori dopo di lui è stata omessa.

– Mu’dal: hadith in cui è stata omessa la menzione più trasmettitori

– Marfu’: hadith che risale al Profeta.

– Mawquf: hadith che risale ad un Compagno.

– Maqtu’: hadith che risale ad un tabi’.

Quando una catena di trasmissione è inclusiva di trasmettitori giusti, affidabili ed eccellenti in materia di hadith, l’hadith viene considerato sahih (corretto, autentico). Se i trasmettitori non raggiungono la suddetta eccellenza l’isnad è hasan (buono). Un hadith che viene rifiutato è noto come da’if (debole). Dato che gli studiosi sciiti ritengono sahih solo gli hadith trasmessi da duodecimani, questi fanno menzione di un’altra categoria: muwathaq (affidabile), la quale include trasmettitori non duodecimani ma con le stesse qualità di trasmettitori di hadith sahih.

Per quanto concerne gli hadith mursal, Malik Ibn Anas e Abu Hanifa ritengono che sia valido al pari di un isnad musnad. Questo perché secondo loro l’omissione della menzione di un Compagno da parte di un tabi’ sarebbe prova di uno scrutinio già avvenuto. Degno di nota, inoltre, è il fatto che in ambito sunnita i Compagni vengono in genere considerati tutti giusti e veritieri. Al-Shafi’i ritiene invece che un hadith mursal sia accettabile solo se il suo contenuto è stato riportato da altri isnad autentici, o se gli studiosi sono unanimi nel sostenere l’opinione menzionata, o se il tabi’ che lo riporta è tra quelli più anziani e noto per la sua affidabilità. Ahmad Ibn Hanbal afferma che un hadith mursal è accettabile se non ci sono prove contro il suo contenuto provenienti da altri hadith; in generale preferice un’opinione basata su un hadith mursal che una basata sul qiyas. Ahmad Ibn Khalid al-Barqi, discepolo dell’Imam Rida, ritiene che un hadith mursal sia accettabile solo se riportato da un trasmettitore affidabile, mentre Allamah al-Hilli e Khatib al-Baghdadi non li accettano in nessun caso.

Infine un hadith viene definito shadh (raro) spesso in base alla singolarità del suo contenuto. L’Imam al-Shafi’i lo definisce come “un hadith riportato da una persona affidabile ma il cui contenuto è in contraddizione con quello di un hadith riportato da un trasmettitore più affidabile di lui”.

L’autenticazione dei primi sciiti duodecimani

L’autenticazione degli hadith da parte degli sciiti duodecimani dopo il settimo secolo è abbastanza simile a quella utilizzata in ambito sunnita. Nonostante la differenza nella scelta dei testi di hadith e delle biografie dei narratori, la metodologia generale è per lo più analoga. I circoli sciiti dei primi secoli però proponevano un altro tipo di autenticazione che non si basava primariamente sull’identificazione dei caratteri dei trasmettitori. Un hadith veniva considerato piuttosto sahih quando vi erano prove che potessero sostanziarne la veridicità. Per esempio un hadith veniva considerato autentico se:

– Se l’hadith è mutawatir.

– Se l’hadith è presente in più di uno dei 400 Usul.

– Se l’hadith è reperibile in un libro redatto da un discepolo la cui veracità è stata stabilita (come Zurara, Muhammad Ibn Muslim o Fudayl Ibn Yasar) o si è unanimi nell’accettare l’autenticità di quello che hanno riportato (come Safwan Ibn Yahya, Yunus Ibn Abdul-Rahman o Muhammad Ibn Abi Nasr al-Bazanti).

– Se l’hadith è reperibile in un libro che è stato presentato agli Imam e questi lo hanno elogiato (come il libro di Ubaydullah al-Halabi presentato all’Imam al-Sadiq o quelli di Yunus Ibn Abdul-Rahman e Fadl Ibn Shadhan presentati all’Imam al-Askari).

– Se il contenuto dell’hadith è stato accettato e praticato dalle prime generazioni di discepoli senza obiezioni da parte degli Imam (come il Kitab al-Salat di Hariz Ibn Abdullah al-Sijistani, il libro di Ali Ibn Mahziyar, o anche libri di non-duodecimani come Hafs Ibn Ghiyath e Husayn Ibn Abdullah, o il Kitab al-Qibla di Hasan al-Tatari).

– Se ci sono altre prove esterne a sostegno della veridicità dell’hadith.

In linea generale secondo il punto di vista dei primi sapienti duodecimani un hadith è sahih quando è possibile stabilirne la provenienza da parte di un Imam. Essi dunque classificavano gli hadith semplicemente in autentici e non autentici. La perdita di gran parte delle raccolte redatte dai discepoli degli imam hanno poi fatto sì che adottassero un criterio più simile a quello di altre scuole.

  • 1. Kulayni, al-Kafi, vol. 1, p. 53.